BAGHOUZ – La felicità è nei volti stanchi, stravolti dei combattenti delle Forze Democratiche Siriane. Uomini e donne che per oltre due mesi hanno combattuto gli ultimi jihadisti, irriducibili, che hanno preferito la morte piuttosto di arrendersi. Dita alzate in segno di vittoria su un tetto di una casa distrutta, a pochi metri dalla riva dell’Eufrate, sotto una bandiera gialla enorme. A Baghouz nell’est della Siria, a circa due chilometri dal confine iracheno, finalmente si può dire: lo Stato Islamico è stato sconfitto. “È finita”, o almeno militarmente.
Cinque anni di guerra, e migliaia di morti. Ma per arrivare a questo momento decisivo, venerdì notte l’ultima battaglia. Gli aerei americani hanno ricominciato a volare al tramonto, e hanno bombardato tutta la notte. In supporto, artiglieria pesante e scontri. All’alba sembrava finita, e quando il convoglio di giornalisti è partito per il fronte sono cominciati gli spari. Alcuni miliziani si erano nascosti tra le rovine delle case proprio per cercare di fare un’imboscata per creare panico e vittime. Non ci sono riusciti. La zona era controllata e le forze speciali curde, supportate dai militari americani, hanno subito risposto al fuoco. E alle 8.45 del 23 marzo la zona è stata davvero liberata. Tutto intorno è un cimitero di auto, almeno un migliaio. Bruciate, e distrutte. Sono lì a testimoniare che tutti i miliziani rimasti in vita da Raqqa e le altre aree, sono arrivati qui per lo scontro finale. Quello che è rimasto sul terreno è una scena apocalittica, vestiti in terra, corpi che spuntano tra le macerie, e nemmeno troppo nascosti. Non ci si può allontanare dalla strada battuta, il pericolo di mine è altissimo, una delle strategie di ISIS che ha fatto migliaia di morti. Le bandiere nere oramai sono a terra, strappate, mentre in alto ci sono quello dello YPG e YPJ- le unità curde, protagoniste assoluta in questa guerra. Gli unici capaci di fronteggiare quell’onda nera che tra il 2014 e il 2015 ha terrorizzato il mondo intero.
I curdi, oltre ad essere preparati militarmente, sono riusciti anche a creare una coalizione multietnica e religiosa, sotto l’ombrello delle Forze Democratiche Siriane. Infatti con loro ci sono arabi, siriani, armeni, cristiani. Tutti coloro che non volevano arrendersi a uno stato islamico o radicale che ha controllato il territorio con la legge islamica. Nessuno si aspettava che la battaglia durasse così a lungo. Sotto Baghouz sono stati trovati tunnel e rifugi dove i civili e famigliari di ISIS sono rimasti stipati, stretti. “Eravamo almeno in trenta in una stanza piccolissima” racconta una donna Yazida che non vuole essere nominata. È proprio la popolazione Yazida, originaria di Sinjar, Iraq. Era il 3 agosto 2014 quando ISIS ha invaso la loro area e rapito almeno 5 mila donne, ucciso migliaia di persone, e rapito i bambini. Secondo le stime, dall’inizio dell’offensiva, oltre due mesi fa, sono uscite circa 60mila persone. Uomini, donne, e bambini. “I più radicali”, dice la comandante Arian Qamichli che non si aspettava un numero così alto di donne straniere. “Molte di loro dicono che sono pentite, ma per tante sembra che sia una recita che si sono preparate”, continua a raccontare. Ora però è ora di festeggiare.
A circa una quarantina di chilometri, Omar Field, la base principale di questa offensiva, sono arrivati tutti i vertici militari. Compresi quelli statunitensi, partner delle FSD in questa guerra. La base è vestita a festa. C’è persino una banda che suona. Sui muri i volti dei martiri, compresi gli internazionali, che in totale sono 45. L’ultimo Lorenzo Orsetti, nome di battaglia Tikoser, ucciso il 18 marzo in una imboscata. Uno degli ultimi colpi di coda di questa lunga guerra che ha visto migliaia di morti, soprattutto curdi. Loro hanno pagato il prezzo più alto. Ma se da una parte ISIS è stato sconfitto, dall’altra c’è il timore del futuro e sull’ideologia che sembra non morire. Come se non bastasse, le minacce sono tante. Il regime siriano che non vuole riconoscere l’autonomia del Rojava, e la questione turca. Il presidente Erdogan ripete che lo YPG e lo YPJ sono terroristi. Poi c’è il ruolo degli Stati Uniti che sembra essere una continua contraddizione tra annunci di ritiro immediati, passi indietro, e stanziamenti di fondi per i prossimi anni. Una tensione quella delle FSD con gli americani che è palpabile persino qui, sul palco della vittoria per la bandiera delle Unità di Protezione del Popolo. Ma per un giorno tutti sono decisi a non farsi rovinare la festa. Da domani si penserà al futuro.