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L’anniversario “amaro” di Sisi

Il regime di Sisi si sta sgretolando?

A porre la domanda è il magazine americano Foreign Policy. In occasione del quinto anniversario della rivoluzione il giornalista Eric Trager riporta alcune fonti dall’esercito che raccontano di frizioni e rivalità causate dalla sempre difficile situazione politica ed economica del paese.

Quello che è dagli analisti è definito il “deep state“, ossia la potente entità in grado di decidere le sorti del Paese, darebbe infatti più di un segno di crisi. Il Consiglio Militare Supremo, la magistratura, i servizi segreti e il Ministero degli Interni sono rimasti uniti a sostenere il presidente Sisi per paura del ritorno dei Fratelli Musulmani. “I loro interessi erano profondamente minacciati dal presidente islamista Morsi”, scrive Foreign Policy; da qui l’esigenza di agire e supportare in maniera unanime Abdel Fattah El Sisi che – deposto Morsi nel 2013 e diventato presidente l’anno successivo – adesso sarebbe in seria difficoltà.

La maggioranza dei vertici del movimento islamista sono in carcere; così, con gli ikhwan fuori dai giochi e la crisi economica mai risanata, Sisi starebbe perdendo consenso non solo tra la popolazione (il consenso sarebbe sceso dal 93 al 60%) ma anche tra i membri della fumosa macchina autocratica egiziana.

Il conflitto sarebbe prima di tutto nella cerchia del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Un ufficiale dell’esercito dice al magazine americano che il presidente sarebbe isolato. I generali starebbero mettendo in discussione alcune decisioni di Sisi, oltre a chiedere conto dei fallimenti del governo, in particolare delle operazioni militari. Le tensioni sarebbero presenti anche tra la presidenza e i vertici dei servizi segreti, che negli ultimi mesi sono stati ripetutamente attaccata dai media egiziani vicini al governo.

Alcune frizioni sono arrivate anche nel Parlamento, insediatosi da poche settimane. Il partito The Future of the Homeland Party, considerato vicino all’intelligence egiziana, lo scorso mese si era ritirato dalla coalizione pro-Sisi per poi rientrarci qualche giorno più avanti. Il portavoce allora dichiarò che c’erano state delle discussioni sull’influenza che il partito doveva avere nella direzione della coalizione e auspicava che il Parlamento avrebbe mediato tra le parti che supportano la presidenza.

L’ulteriore giro di vite delle ultime settimane – che ha portato a nuovi arresti e perquisizioni a tappeto nei centri culturali e in diversi appartamenti nell’area vicina a piazza Tahrir – sembra mostrare il timore da parte del presidente di nuove manifestazioni. Timore confermato anche dalla chiusura della fermata della metropolitana della storica piazza e dall’invito fatto dal Ministro per le autorità religiose a condannare le proteste per l’anniversario della rivoluzione.

Secondo diversi analisti e attivisti, quei pochi rimasti ancora in libertà, nessuna manifestazione significativa avrà luogo per questo anniversario. Le difficoltà future di Sisi, più che dalla piazza, potrebbero ora arrivare dalle storiche stanze del potere egiziano.

  • Autore articolo
    Laura Cappon
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    Agitu Idea Gudeta, una pastora etiope in Trentino un podcast di Claudio Agostoni musiche di Saba Anglana regia e montaggio di Roberto Cirillo Nata ad Addis Abeba il 1° gennaio 1978, la pastora Agitu Ideo Gudeta è stata un’attivista per i diritti umani e contro le speculazioni e gli espropri forzati dei latifondisti che costringono gli allevatori locali ad abbandonare i loro terreni. Arrivata in Italia a 18 anni e, dopo aver conseguito la laurea in Sociologia a Trento, era poi tornata in Etiopia per dedicarsi a progetti di economia sostenibile contro l’inquinamento e la devastazione ambientale. Il suo impiego l’aveva resa invisa al governo, a rischio di arresto e minacciata di morte. Tornata a Trento, dopo una serie di peregrinazioni, Agitu aveva trovato nella Valle dei Mocheni il luogo in cui portare avanti la sua visione: il progetto di una piccola economia sostenibile, vivere in armonia con la natura e allevare la capra pezzata mochena, di razza autoctona, che ha bisogno di mangiare poco per produrre molto latte, senza dover quindi essere nutrita con mangimi. Grazie alle conoscenze apprese dalla nonna e dai pastori al fianco dei quali aveva lottato, Agitu aveva iniziato recuperando, come avrebbe voluto fare nella sua terra d’origine, terre abbandonate, facendole diventare una risorsa. Nel suo maso, con il latte fornito dal suo gregge, faceva il formaggio con metodi tradizionali e a vendita diretta. Agitu è morta a Frassilongo il 29 dicembre 2020, vittima di femminicidio, uccisa da un pastore ghanese che lei aveva aiutato, accogliendolo come collaboratore nella sua azienda agricola. Con questo podcast, della durata di 60 minuti, cerchiamo di ricostruire la sua storia, utilizzando le voci di chi l’aveva conosciuta nel suo lavoro in Trentino, dalla Vallarsa alla Val di Gresta, sino alla Valle dei Mocheni. Ma soprattutto grazie alla sua voce, registrata anche quando eravamo andati a trovarla, con un gruppo di ascoltatori di Radio Popolare, poche settimane prima che venisse assassinata.

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