Per raccontare se stesso, raccontò Federico Fellini. Meno di tre anni fa Ettore Scola utilizzò questo umile e riconoscente pretesto per realizzare il suo ultimo film Che strano chiamarsi Federico. Al centro dell’opera, i suoi esordi nella rivista umoristica Marc’Aurelio, in cui entrò a soli quindici anni come vignettista, grazie all’interesse di Fellini. Suo maestro e traghettatore verso la commedia all’italiana, che perfezionò attraverso la scrittura con Dino Risi, con cui sceneggiò: Il Sorpasso, Il Mattatore, I mostri, Il Gaucho.
Nato a Trevico nel 1931, Scola esordì alla regia nel 1964 e fin dall’inizio concentrò il suo interesse sulla società post bellica che andava incontro al boom economico e una passione per i personaggi deboli o emarginati. Spesso eroi positivi nel suo cinema.
La lista dei film da ricordare e da far vedere alle nuove generazioni è lunga e rappresenta un ritratto dell’Italia nato da un impegno politico e sociale in prima persona, che va di pari passo a frammenti di storia personale, come fonte di ispirazione. A cominciare da Trevico Torino, dalla parte degli operai, testimonianza della sua militanza nel PCI, di cui fece parte anche del governo ombra nell’89.
Indimenticabili: C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare, La Terrazza, La famiglia, Brutti sporchi e cattivi, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, I nuovi mostri, Ballando Ballando, Splendor. E gli attori e le attrici dei suoi film, da Marcello Mastorianni, a Vittorio Gassman, Monica Vitti, Stefania Sandrelli, Sofia Loren, Fanny Ardant, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi e Massimo Troisi.
Il suo penultimo film, prima dell’omaggio a Fellini, è del 2003 Gente di Roma, la sua città molto prima di La grande bellezza. E poi la decisione senza compromessi, di non fare più film come protesta al sistema del monopolio politico e culturale. Quasi tenendo fede a quel “Sceglieremo di essere onesti o felici?“, pronunciato in C’eravamo tanto amati.
Storie che hanno osservato e anticipato i tempi, con una visione lucida nei confronti di una società in lento decadimento, ma senza mai perdere il sorriso.