Giuseppe Sala è stato indagato e archiviato. Il tutto in gran segreto, durante il periodo di tregua armata tra Procura e società Expo, dichiarata per “senso di responsabilità” dal procuratore generale Edmondo Bruti Liberati su richiesta del premier Matteo Renzi. La pressione della magistratura, si diceva tra le righe, avrebbe potuto compromettere la buona riuscita dell’evento. Anche il nome di mister Expo, quindi, è finito tra i fascicoli della Procura. Anche l’uomo che pareva fuori da ogni sospetto è stato toccato dalla giustizia. E per motivi connessi alla trasparenza della sua amministrazione.
La notizia filtra da Palazzo di Giustizia il giorno dopo la pubblicazione del “preconsuntivo di bilancio”, un primo, attesissimo conto economico di entrate e uscite della società. Un documento richiesto a gran voce in nome della trasparenza, in particolare da uno dei competitor di Sala come candidato sindaco per Milano: Pierfrancesco Majorino.
Il risultato dice alla voce ricavi 736 milioni di euro, costi di gestione 721 milioni. Il che dà un ricavo netto di 14,2 milioni. Il dato però esclude dal computo i bilanci del passato, così come non tiene conto dell’assottigliarsi del bilancio, passato da 46,78 milioni ad appunto 14,2 milioni. Sala durante la sua presentazione al Teatro Strelher di Milano ha promesso una città trasparente e una salda alleanza con l’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Ma la trasperanza sul dopo evento non è proprio di casa. Almeno non fino a ora.
Anche il fascicolo in Procura a carico di Giuseppe Sala è legato proprio a un deficit di trasparenza. L’episodio sotto indagine è legato all’appalto dato a Eataly, la società di Oscar Farinetti, per la gestione dei ristoranti del decumano. Affidata senza appalto e con un margine di profitto esagerato per Farinetti: Expo ha detratto a Eataly i costi delle celle frigorifere (50mila euro) e ha chiesto solo il 5 per cento di royalties sul volume d’affari, contro il canonico 12. Già l’Anac di Raffaele Cantone si era accorta della particolarità dell’appalto, chiedendo a Expo delle spiegazioni aggiuntive. Il gip Claudio Castelli il 12 gennaio ha firmato l’archiviazione perché la decisione di affidare l’appalto senza gara per ragioni tecniche e tempi contingentati, seppur opinabile, “rientra pienamente nella discrezionalità amministrativa”.
C’è un altro caso di trasparenza non pervenuta nei vertici dirigenziali di Expo. Lo ha svelato l’Espresso, in un’inchiesta dell’agosto 2015. Protagonista è Piero Galli, “direttore generale della divisione vendite, marketing e gestione dell’evento”, come si legge su sito di Expo. All’anagrafe fa “Pietro”, con una “t” volontariamente espunta per ripulire il suo casellario giudiziario, afferma il settimanale. Infatti nel 2005 Galli ha subìto una condanna definitiva per bancarotta fraudolenta di Digitalia, azienda del gruppo Cameli-Gerolimich. Secondo la Cassazione, cita l’Espresso, “Galli e un altro manager hanno svuotato le casse dell’azienda per favorire un superiore, titolare di una società collegata: Digitalia le ha venduto un ricco brevetto ‘a prezzo vile’, le ha concesso ‘finanziamenti senza interessi’ e ne ha comprato il 60 per cento ‘con sopravvalutazione del prezzo’”.
Galli è un uomo di Sala. L’ad di Expo l’ha difeso non solo perché un capo non molla un suo dipendente, ma anche per motivi personali. Basta rileggere la biografia del candidato sindaco. Come scrive lui stesso nel suo cv, Sala da gennaio 2007 a dicembre 2008 è presidente di Medhelan Management&Finance, una società di consulenza. Un quinto delle azioni della società appartengono alla Bain&Company Italia, proprio la società dove all’epoca Galli è un alto dirigente.