
Ha citato Gramsci (“prevedere” in politica significa “agire per”) ma anche l’economista liberal statunitense John Kenneth Galbraith. Ha affermato che il suo punto di riferimento è il riformismo italiano del ‘900 ma anche che il fulcro della sua azione quando sarà sindaco di Milano sarà l’attrazione di investimenti privati per la crescita e l’innovazione. Ha detto che occorre impiegare risorse nel welfare per le donne, i giovani e gli anziani ma anche che bisogna licenziare i dipendenti pubblici che non lavorano, in pieno accordo con il Presidente del Consiglio. Ha tirato fuori la promessa-civetta: “Se vinco le elezioni riapro i Navigli“.
Giuseppe Sala, mister Expo, ha svelato finalmente la sua strategia elettorale a tre settimane dal voto per le primarie. Fino a oggi, il candidato di Renzi è stato molto attento a non esporsi troppo. Quello a cui si è assistito al teatro Strehler è stata una visione perfettamente in linea con l’idea che del Pd ha Renzi e che ha antecedenti che arrivano a Veltroni. Ma anche nell’estetica della giornata milanese: lo sfondo del palco rosso fuoco, la (ex) presentatrice di Mtv Italia.
Tutto il vertice del Partito Democratico milanese è con Sala e ha assistito alla presentazione ufficiale. Assieme ai giovani dei circoli del Pd che, in maglietta bianca, chiamavano gli applausi e alla fine si sono fatti la foto di gruppo circondando il candidato. Scene mutuate dalla Leopolda renziana. Giuseppe Sala ormai è ufficialmente “Beppe” e in questo contesto si trova bene, anzi tiene il palco con piglio crescente, dopo un inizio di campagna elettorale in sordina. Non rinuncia, però, alla sua identità di manager, anzi la sottolinea: “ho cambiato abito ma non dimentico cosa ho imparato”.
La sua cifra rimane l’understatement, o sobrietà in italiano, nei confronti degli avversari: “Sono tre candidati seri e preparati, mi onora competere con loro”. Si tratta di una scelta strategica che guarda al dopo, a quando Sala dovesse essere il candidato del centrosinistra alle elezioni comunali, perchè tra i suoi sostenitori tutti, Renzi in testa, sanno che a quel punto ci sarebbe una quota di elettori di sinistra per nulla intenzionati ad andare a votare. Ecco perchè, oggi, evita lo scontro.
Sala sa anche, e lo dice, che quanto più riuscirà ad allargare la platea dei votanti tante più possibilità di vittoria avrà. Lui la spiega così: “le primarie si possono intendere come mobilitazione dei militanti o come vera chiamata elettorale, all’americana. Noi preferiamo la seconda”.
Understatement, o sobrietà, che non nascondono il piglio: “Saprò ascoltare e guidare. Un manager fa questo”. E dall’altra parte, in un tocco di renzismo, attacca i “professionisti del no”: “Molti politici e non solo ci diranno che non si possono riaprire i Navigli. Ma io ho appena finito una cosuccia di cui si diceva non si può fare”.
Il candidato-manager. Ad ascoltarlo tanti militanti di antica data, giovani che non hanno conosciuto altro linguaggio della politica se non questo, qualcuno che in passato si è avvicinato a Forza Italia come Sergio Scalpelli. Si è intravisto pure Massimo Ferlini, il vicepresidente della Compagnia delle Opere.
“Sono l’uomo giusto per mettere assieme il Governo, le imprese, la Cassa Depositi e Prestiti“. Lo dice in relazione alle politiche per la casa (“Milano è un avamposto per sperimentare”). Lo intende in generale.