Pietro Grossi
Orrore
Feltrinelli
138 pagine
Perché un autore come Pietro Grossi, giunto al suo settimo libro di narrativa e con diversi premi letterari alle spalle, sente il bisogno di scrivere un horror? Perché come il protagonista di questo romanzo da ragazzino era un divoratori di questo genere? Probabile.
Diciamo che buona parte del breve romanzo intende far leva sulla suspence, sull’attesa di ciò che le anomalie riscontrate in una casa isolata nel bosco fanno presagire: alcuni spazi interni stranamente puliti e altri polverosi, resti inspiegabilmente dimenticati di strumenti chirurgici. Un mistero, qualcosa di terribile si annuncia. Un amico riesce a coinvolgere il suo coetaneo, in Italia per le vacanze di Natale assieme alla moglie e a un figlio di pochi mesi, facendolo cadere in un abisso di curiosità. Tanto più che costui è alla ricerca di uno stimolo per il suo mestiere di sceneggiatore che in quel momento lo vede in crisi. Chissà, potrebbe trovare il bandolo di una matassa quanto mai utile per lui.
Allo scadere della vacanza, il protagonista rimanda indietro la famiglia, moglie consenziente, in fondo si tratterà solo di qualche giorno. Invece l’ossessione si fa totale, ed eccolo diventare un guardone a tempo pieno, nascosto tra i cespugli, in osservazione della casa sperduta lontana chilometri dal paese dove alloggia. A dire il vero, di autentica suspence ce n’è poca, però ci ritroviamo nelle pagine più belle del romanzo, quando mezzo inebetito dal freddo lo vediamo sorvegliare il posto, nascosto sotto teli impermeabili mentre la neve imbianca lui e il terreno tutto intorno. Dopo un bel po’ se la moglie inizia a preoccuparsi, lui si stacca sempre più dai destini della sua famigliola.
Il testo, in seconda persona, viene indirizzato con il “tu” a un figlio lontano non più piccino, per dirgli cosa successe a suo tempo per far sì che il padre sparisse dalla sua vita. Nell’insieme scarsamente convincente e poco più di un espediente letterario, questo “tu” risuona tuttavia con una venatura di rimorso seppure l’accaduto ineluttabile. Come a dire, di fronte alle ossessioni, tanto produttive quanto pericolose, poco si può.
Gran parte della narrazione è quindi basata sull’attesa che si allarga e diventa padrona nonostante gli scarsi indizi e i persistenti interrogativi. Fino a pagina 110, e manca poco alla fine, tutto procede in questo modo, a ravvivare lo scorrere lento delle ore con il giovane uomo così appostato in osservazione, poco più di una scena di sesso con una ragazzotta del paese, niente male quanto a resa. Umori, urina, amplesso violento, poi nulla resta: “… due sponde opposte di un grande lago. Buonanotte allora. Buonanotte”.
Di lì, lui tornato in città, lo scioglimento del romanzo. Viene allo scoperto il legame insospettabile tra due dei personaggi, ma il lettore resta a bocca asciutta quanto alla spiegazione del mistero. Venuto meno il fardello della logica narrativa, gettatogli in pasto solo qualche indizio, chi legge se la può sbrogliare come meglio crede.
Anche se ostinato ripercorre a ritroso tutte le scene del romanzo dicendosi che i conti non tornano, che qualcosa manca, la lisca che gli è stata gettata gli deve bastare. Che costui protesti a gran voce dicendo che nei polizieschi, ad esempio, è d’obbligo scoprire chi è l’assassino e quale il suo movente, è facile che si senta rispondere che i gialli a orologeria sono cosa vecchia e che nel noir imperante sono d’uso i finali sospesi, mentre gli assassini, impuniti, se la spassano.
Sì, ma… l’ingenuo protesta: prendiamo La promessa di Duerrenmatt. Anche se il sottotitolo riporta: requiem per il giallo, beh, lì il colpevole lo si scopre, e che il detective avesse visto giusto anche. È stato il caso a farsi beffa di quest’ultimo, opzione filosofica di alto livello. E così i conti tornano tutti al millimetro. Oppure i romanzi di Patricia Highsmith che non ama i rigori della legge, anche in quel caso la logica narrativa viene rispettata, psicopatici o presunti tali che siano i suoi personaggi.
Se è così nel giallo perché non nell’horror? Dopo aver posto l’interrogativo a un amico che di horror se ne intende, questa la risposta ricevuta: “Se ti ha deluso, vuol dire che la trovata non funziona. Se ti è comunque piaciuto, complimenti all’autore per il coraggio!”.