Quest’inverno è stato fortemente caratterizzato a livello mondiale dall’influenza del Niño, un fenomeno climatico individuato per la prima volta dai pescatori peruviani, che segnalavano un anomalo riscaldamento delle acque del Pacifico centrale a ridosso del Natale: si spiega così il nome El Niño, riferito al Bambin Gesù.
Questo aumento delle temperature nell’oceano più grande della Terra, che si verifica all’incirca ogni 5 anni, ha come conseguenze piogge, nevicate abbondanti e alluvioni. La siccità, invece, è l’effetto caratteristico del fenomeno speculare, cioè l’abbassamento anomalo della temperatura del Pacifico, chiamato La Niña.
La scienza ha soltanto accertato che Niño e Niña sono provocati dall’interferenza tra due diverse tipologie di onde che spazzano il Pacifico in sensi tra loro opposti, favorendo lo spostamento di enormi masse d’acqua: ciò determina l’aumento oppure la diminuzione della temperatura di vaste zone dell’oceano. Tuttavia, non è stata individuata con certezza la causa prima del problema. Il “bambino” e la “bambina” rientrano in quella zona d’ombra sui meccanismi climatici che ancora non riusciamo a spiegare.
Malgrado l’incertezza, c’è chi li addebita (ingiustamente) al più vasto fenomeno del cambiamento climatico, provocato dalle emissioni di CO2. Circa le cause di quest’ultimo, invece, non ci sono più dubbi sul ruolo negativo giocato dall’uomo… sebbene qualche sparuto ricercatore scientifico, magari sovvenzionato dall’industria petrolifera, continui ancora ad affermare il contrario.
Non solo la politica a livello globale è impazzita, ma il caos si affaccia in modo prepotente anche sui delicati equilibri della natura. Molti diranno che si tratta di cicli che cambiano, che nella storia della Terra ci sono state transizioni molto più radicali e traumatiche, con la scomparsa di interi mondi animali e vegetali. Ma ciò non basta a spiegare ciò che sta accadendo oggi. Al netto dei cicli della natura, l’uomo sta incidendo pesantemente sul clima: lo dice la scienza e lo dice il buon senso.
Negli ultimi 5 anni, secondo il Worldwatch Institute 140 milioni di persone hanno abbandonato le loro terre per sfuggire a disastri naturali connessi al clima. E sono in veloce aumento i conflitti per il controllo dei pascoli, dei suoli fertili, delle risorse idriche.
Mentre la crisi di leadership politica globale priva il mondo di una regia su temi puntuali, come la stessa lotta al cambiamento climatico o la risoluzione pacifica dei conflitti, il groviglio di problemi che spesso si concentrano in una stessa area geografica si fa sempre più inestricabile. Oggi, in tutti gli scenari di guerra sono presenti lotte per la terra, per le risorse naturali e per l’acqua, più o meno sovrapposte ad altre cause di scontro.
In realtà, non tutti sono rimasti paralizzati davanti a questo “crescendo problematico”. Tra settembre e ottobre, il Food Index della FAO ha registrato un rialzo del 4 per cento dei prezzi degli alimentari. El Niño, che finora era stato ignorato dai mercati, comincia a preoccupare soprattutto per la ricaduta sulle commodities tropicali. E, per la prima volta, i prezzi si stanno adeguando a quelle che potrebbero essere le conseguenze delle variazioni di temperatura nel Pacifico: salgono con punte del 17 per cento per lo zucchero, per via del rischio piogge torrenziali in Brasile, e del 6 per cento per l’olio di palma, perché si teme invece la siccità in Oriente. L’unica certezza, insomma, è che l’economia, giocando su rialzi e ribassi, riuscirà a parare i colpi dei disastri annunciati.
Il mondo globale è fatto così, caos e improvvisazione sul piano politico, programmazione e tempismo in campo economico. Uno sbilanciamento troppo marcato ormai per immaginare che possa durare a lungo.