Le notizie della guerra siriana sovrastano le poche notizie positive in questa crisi che tra pochi mesi entra nel sesto anno. Alludo allo scambio di feriti e familiari tra le zone sotto il controllo del governo di Damasco, a Zabadani nei pressi del confine libanese, e nelle zone conquistate dall’opposizione armata, a Foa e Kefryia, nella provincia di Idlib, al Nord. Lo scambio, frutto di una lunga mediazione dell’ONU e della Croce Rossa/Mezzoluna Rossa, è stato coronato dal successo.
Lunedì 28 dicembre due carovane di autobus dell’ONU sono partite cariche dei feriti e dei loro familiari, con l’assistenza di personale umanitario, per raggiungere rispettivamente Libano e Turchia e poi, per via aerea, alla destinazione finale. Un viaggio che prevede un periodo di cure nei due paesi confinanti.
Da Zabadani sono partiti 190 feriti con i rispettivi accompagnatori familiari e si sono diretti alla frontiera libanese e dopo una breve sosta per avere il segnale del contemporaneo passaggio dell’altro convoglio dalla frontiera turca, si è proseguito verso l‘aeroporto di Beirut, dove li attendevano due aerei turchi, che li hanno trasportati a Istanbul.
Da Foa e Kefryia sono partiti 300 feriti e loro familiari, raggiungendo la frontiera turca di Bab El Hawa, nella direzione dell’aeroporto di Hattai, da dove due aerei libanesi li hanno trasportati a Beirut; lì troveranno le necessarie cure e poi avranno la possibilità di raggiungere le zone siriane sotto il controllo del governo di Damasco.
Un’operazione complessa che ha richiesto molta pazienza e determinazione da parte dei mediatori e soprattutto la massima riservatezza e l’imperativo di non trasferire persone armate, ma soltanto feriti, sia civili che militari. Soldati governativi e miliziani feriti hanno potuto attraversare il confine con l’uniforme, ma disarmati.
Questa è la seconda fase dell’accordo di tregua siglato lo scorso 24 settembre 2015, tra l’esercito e l’opposizione armata con la mediazione dell’ONU. La prima fase ha visto l’apertura di un corridoio umanitario per far giungere alle due enclavi assediate viveri e medicinali ed altri aiuti umanitari per far fronte alla stagione invernale. L’accordo di tregua si conclude il prossimo 24 febbraio 2016, quando comincerà la trattativa per un suo prolungamento e avviare il simultaneo ritiro delle armi pesanti dalle due località.
Questa notizia positiva purtroppo è stata coperta dai tamburi di guerra e delle azioni terroristiche di Daesh. Nel nord della Siria, le formazioni dell’Alleanza democratica siriana formata principalmente dai curdi siriani e sunniti, sostenuti ed armati dagli USA, hanno preso possesso della diga Tichrin, a nord ovest di Raqqa, importante punto di collegamento tra il capoluogo del sedicente califfato e la provincia di Aleppo. Non solo, ma la diga alimenta una centrale elettrica che fornice energia alla maggior parte del territorio siriano conquistato da Daesh.
A Homs poi si è compiuto uno tra i più odiosi attentati suicidi. Nei pressi dell’ospedale nel quartiere Zahra, un’autobomba guidata da un suicida è stata fatta esplodere e poi all’arrivo dei soccorritori un uomo con una cintura esplosiva si è fatto saltare in aria in mezzo alla gente che prestava soccorso. Pochi minuti dopo, un’auto carica di esplosivo è stata fatta deflagrare a distanza. Secondo fonti della polizia locale vi sono stati 32 morti e una settantina di feriti, tra cui alcuni gravi. Questo orrendo triplice attentato è stato rivendicato via internet da Daesh.
La città di Homs era tornata all’inizio di Dicembre sotto il totale controllo delle forze governative, dopo un lungo assedio ed in seguito alla mediazione dell’ONU e della Mezzaluna rossa. Per l’accordo umanitario raggiunto in quell’occasione circa 4000 persone hanno lasciato l’ultimo quartiere rimasto nelle mani dell’opposizione, per recarsi nelle zone da essa controllate nella vicina provincia di Aleppo. Subito dopo la conclusione della prima fase dell’accordo di tregua, Daesh si era fatta sentire con un’autobomba, che aveva ucciso 16 persone.
Questa escalation terroristica dimostra le difficoltà nelle quali versa il sedicente califfato ed allo stesso tempo la frammentarietà e la lacerazione dell’opposizione armata, a meno di un mese dall’avvio del negoziato sotto l’egida dell’ONU, programmato per il 25 gennaio a Ginevra. Il regime ha già dato il suo assenso e nominato il capo delegazione, l’inossidabile ministro degli esteri Al Moallim, mentre l’opposizione sta litigando a Istanbul, Doha e Riad sulla composizione della lista dei negoziatori e sul protocollo delle procedure decisionali da rispettare.