Il 2016 sarà un anno decisivo per il futuro dell’Unione europea. Le sfide aperte sono almeno tre. E su quelle si giocherà molto della sostenibilità di questa Europa.
La prima sfida è la ripresa dell’economia. I segnali degli ultimi mesi concordano: la ripresa c’è ma è debole, fiacca. E soprattutto non sta avendo ricadute positive sull’occupazione, se non in minimi aggiustamenti. L’opera di Draghi e della Bce non basta a sostenerla ed è il tempo di azioni coordinate da parte dei governi europei, che riescano a innescare un ciclo positivo. A una condizione: che si abbandonino finalmente le ricette dell’austerità che hanno già dato prova della propria inadeguatezza. Il peso della Germania ovviamente resta preponderante, ma la cancelliera Merkel negli ultimi tempi sembra aver perso un po’ della propria inattaccabile autorevolezza. Si spera che nel 2016 altri governi nazionali, come quello francese e quello italiano, facciano sponda con la Commissione europea per ottenere quella elasticità necessaria a una politica di bilancio più espansiva.
La seconda sfida si chiama Brexit. O, meglio, è un vero e proprio incubo per Bruxelles: l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Il referendum, a meno di sorprese, si svolgerà nel 2016 e sarà la prima volta che un grande paese europeo affronterà la questione se rimanere o meno nell’Unione. Il premier Cameron sta cercando di ottenere il più possibile dai partner europei, usando proprio la consultazione come arma di pressione. Ma il suo partito conservatore non fa mistero di cavalcare il malcontento addossandone la responsabilità all’Unione.
La terza sfida – che si ricollega alla precedente – è l’avanzata delle destre anti europee. Il caso più eclatante in questo scorcio di 2015 è quello della Polonia. Il governo ultra conservatore di Beata Szydlo si sta dimostrando quanto di più reazionario si possa immaginare per gli standard democratici europei. E il suo rapporto con l’Unione è ben rappresentato da un piccolo ma emblematico episodio: Szydlo ha fatto togliere le bandiere europee dai podii da dove tiene le sue conferenze stampa: al loro posto campeggiano unicamente i bianco-rossi polacchi. In Francia, d’altra parte, l’avanzata del Front National sembra inarrestabile, nonostante la parziale frenata alle ultime regionali. In Francia si vota nel 2017 ma sarà il 2016 l’anno decisivo per capire se Marine Le Pen potrà essere una candidata competitiva per l’Eliseo.
Bruxelles – e con essa i governi europeisti che ancora ci sono – dovrebbero cercare di fronteggiare l’ascesa delle destre xenofobe e anti europee non nascondendo la testa sotto la sabbia. Dando risposte credibili. Anzitutto sul tema dell’immigrazione, cavallo di battaglia della destra. Finora l’Europa non ha dato buona prova di saper gestire il fenomeno. Agendo in modo contraddittorio, scoordinato, insufficiente. Nel 2016 l’ondata di profughi dai paesi in guerra non si fermerà. E l’Europa dovrà affrontarla, senza dividersi, senza alimentare, con la propria incapacità, chiusura e xenofobia.