Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha vinto il referendum per la revisione della Costituzione, ma non ha sciolto la riserva sulla sua candidatura alle presidenziali del 2017. Durante il discorso annuale sullo Stato della Nazione, Kagame ha sottolineato che la partecipazione al recente referendum è stata massiccia e che la maggioranza ha votato sì. “Anche se alcuni hanno votato no” – ha detto il presidente – “io ringrazio tutti. La nostra democrazia è più forte, perché abbiamo rifiutato di farci distrarre”.
Il referendum chiedeva ai ruandesi d’approvare la revisione della Costituzione che permetterà a Kagame, 58 anni, di presentarsi per un terzo mandato nel 2017 e che, potenzialmente, gli consentirà di governare il paese fino al 2034. I “Sì” hanno ottenuto, come era largamente prevedibile, il 98,4% dei voti, contro l’1,6% dei “no”. Kagame, eletto nel 2003 e rieletto nel 2010 con, ogni volta, più del 90% dei voti, ha sempre sostenuto che la sua ricandidatura nel 2017 sarebbe dipesa dal risultato del referendum. Quindi, con il plebiscito ottenuto, pare essere scontato l’annuncio per un terzo mandato.
Il presidente Kagame è l’uomo forte del paese dal luglio del 1994, quando alla guida del Fronte patriottico ruandese ha cacciato da Kigali gli estremisti hutu e messo fine al genocidio che ha provocato più di 800 mila morti, la maggior parte dei quali appartenenti alla minoranza tutsi. Di fatto in Ruanda stiamo assistendo alla conclusione delle manovre preliminari per riproporre, fino quasi a metà secolo (se non intervengono prima forze maggiori) Paul Kagame alla guida del piccolo Ruanda. Piccolo, ma con grandi mire nella regione e con grande capacità di intervento e influenza degli equilibri regionali.
Paul Kagame, come molti suoi colleghi africani, si considera eterno. Si considera l’autore del miracolo ruandese e come tale è escluso che si possa fare da parte. Di fatto lui, come gli altri presidenti della regione prendono esempio l’ uno dall’altro per non andarsene mai.