Matteo Salvini è un mago dei social. Li usa per acquisire consenso, li sfrutta per attaccare la magistratura, li utilizza per picconare lo stato di diritto. Tutto si tiene. L’apertura della busta contenente l’avviso di garanzia per il caso Diciotti, in diretta su Fb, è un fatto senza precedenti.
Seduto alla sua scrivania dell’ufficio al Viminale, il ministro dell’interno ha voluto fare uno show che dietro l’apparente tono bonario (manda sempre i suoi “bacioni”) in realtà mostra il lato profondamente eversivo di Matteo Salvini. In primo luogo c’è stato un durissimo attacco alla magistratura. Quella siciliana – che gli ha inviato l’avviso di garanzia – ma anche quella genovese – che ha chiesto e ottenuto il sequestro dei fondi della Lega.
Salvini si è presentato come un perseguitato politico. Eppure il reato per cui è indagato dalla Procura di Palermo è molto, molto grave: sequestro di persona aggravato. Come gravi sono le colpe dei dirigenti leghisti provate dai magistrati di Genova.
In questo senso, Matteo Salvini ha già preso l’eredità di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere usava le televisioni per aggredire i magistrati che indagavano su di lui. Il leader della Lega utilizza i social. Entrambi chiamavano ad adunata il popolo e giustificavano definendoli degli atti politici quelli che in realtà erano dei puri reati. Vince l’idea di un’adunata virtuale.
Così come faceva Berlusconi ora anche Salvini sfrutta gli avvisi di garanzia per aumentare il suo seguito.” Io sono stato eletto, i giudici no”. Parole che rieccheggiano il Berlusconi più eversivo, quello che in virtù del suo consenso elettorale pretendeva di essere al di sopra della legge.
Matteo Salvini è un eversore per questa ragione: perché si ritiene ormai il potente che pone ogni suo atto al di sopra dello stato di diritto. E che, anzi, combatte coloro che gli chiedono conto dei suoi atti. Non c’è rispetto dei principi democratici in quella diretta Facebook del ministro degli interni. C’è lui e il suo popolo. C’è lui, Matteo Salvini, il capo politico eletto dal popolo. Fatto da elettori e complici, come lui li ha chiamati.