Il genetista di fama mondiale Guido Barbujani, professore all’Università di Ferrara, ha presentato al Festival della Letteratura di Mantova il suo ultimo lavoro “Il giro del mondo in sei milioni di anni” (Il Mulino). A Radio Popolare ha spiegato che da quando siamo scesi dagli alberi e abbiamo iniziato a camminare sulla terra non ci siamo più fermati.
La storia umana è fatta di un nomadismo ancestrale innegabile e fondativo, ma la lente razziale ci ha impedito per secoli di capire chi siamo. Ora, però, che sappiamo inequivocabilmente che le razze biologiche non esistono, dobbiamo sconfiggere il razzismo, la negazione dei diritti a uomini e donne discriminati da ignoranza e pregiudizi.
L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.
È un tentativo di raccontare le migrazioni dell’umanità, a partire dalla prima. Quando parliamo di umanità è difficile mettersi d’accordo su quale sia il punto di inizio. La vita sulla Terra ha 4 miliardi di anni, dove troviamo il punto di inizio della storia? Noi l’abbiamo trovato nel momento in cui i nostri antenati si sono separati dagli antenati degli scimpanzé.
Sono scesi dagli alberi, giusto?
Sì, io non c’ero insomma, anche se sono anziano (ride), ma quello di cui disponiamo sono le ossa, che ci dicono che, da un momento che i genetisti stimano intorno ai 6 milioni e mezzo di anni, questi nostri antenati di cui abbiamo dei frammenti ossei molto sparsi e incompleti iniziano a mostrare dei segni chiari che non vivevano più sugli alberi, ma vivevano a terra: la spina dorsale si inserisce nel cranio dal basso e non da dietro, ad indicare che camminavano su sue gambe e non più su quattro zampe. Ci sono alcune cose di questo genere che i paleontologi stanno interpretando. Sulla base delle ossa e di recente anche della possibilità di studiare il DNA di queste creature, anche se relativamente a un periodo più recente, noi siamo riusciti a capire tante cose sulle migrazioni dell’umanità. C’è un dibattito che dura da secoli su come definire gli esseri umani e non riusciremo a concluderlo io e lei oggi: è difficile capire qual è la caratteristica che ci rende umani, probabilmente ce ne sono a centinaia. Noi ci siamo concentrati sulla migrazione per motivi che sono abbastanza ovvi: in questo momento si parla molto di migrazioni, c’è molta preoccupazione e c’è anche una certa isteria intorno a questo tema. Una cosa che ci piaceva sottolineare è che la nostra specie, da quando i nostri primi antenati sono scesi dagli alberi – quindi con una migrazione dall’alto verso il basso – non è mai stata state ferma un momento e questo ce lo dimostrano le ossa e il DNA.
Ci sono anche degli incontri tra diversi
Da quanto la genetica umana ha abbandonato il paradigma razziale – che per due secoli ha paralizzato la ricerca, perchè il concetto di razza è una lente deformante attraverso la quale non si capisce niente della nostra diversità – e abbiamo capito che bisogna concentrarsi sulle caratteristiche individuali, siamo riusciti a fare un viaggio nella preistoria che ci ha aperto gli occhi su fenomeni che altrimenti non saremmo mai riusciti a scoprire. Uno di questi fenomeni è stato l’esistenza di una specie umana, l’uomo di Denisova: abbiamo scoperto soltanto dei frammenti e non sappiamo come fosse fatto (abbiamo un pezzo di un dito e dei denti), ma dal suo DNA abbiamo capito che non era né come noi né come l’uomo di Neanderthal che per centinaia di migliaia di anni ha occupato l’Europa. Un’altra cosa che abbiamo capito è che queste forme umane diverse a cui diamo il nome di specie diverse in realtà in certe fasi della loro esistenza si sono incontrate e hanno anche fatto dei figli. Non sappiamo se questi figli fossero come i figli degli asini e dei cavalli, i muli che sono sterili e la cosa si ferma lì, o se invece questi incroci siano andati avanti. La scoperta a cui lei faceva riferimento, questo incrocio tra un uomo di Neanderthal e una donna di Denisova, è interessante perchè è come dire che abbiamo colto sul fatto il figlio ibrido di prima generazione: questa ragazza morta all’età di 13 anni aveva un genitore Neanderthal e l’altro Denisova.
Come è cambiato in questi anni il lavoro del genetista?
Si lavora sul DNA antico e occorrono quindi i paleontologi che hanno recuperato i fossili, occorrono gli archeologi che hanno studiato gli oggetti trovati insieme a questi fossili, occorrono quelli che fanno il lavoro di laboratorio e occorrono anche quelli che me che alla fine fanno i conti, cioè fanno le analisi molto complicate che permettono di collocare le scoperte nel loro contesto. Si tratta di grandi progetti internazionali. Vorrei anche ricordare il ruolo fondamentale che ha avuto Luca Cavalli-Sforza, il genetista scomparso pochi giorni fa, nel mettere in moto un meccanismo, attraverso il suo progetto Human Genome Diversity Project, e mettere insieme dei dati iniziali a cui tutti quanti hanno attinto e da cui tutti quanti sono partiti per questi studi.
Non esistono le razze, ma esiste il razzismo?
Il tema del razzismo e della razza biologica sono abbastanza separati, a parte il fatto che hanno la stessa etimologia. Parlare di razze biologiche significa parlare di come siamo fatti, parlare delle nostre differenze. Io sono fermamente convinto che le nostre differenze non ci permettano di classificarci in gruppi biologici distinti, come si può invece fare con gli scimpanzé. Noi siamo fatti più come i tonni, che sono degli animali molto nobili che girano per tutti i mari e se uno ne pesca uno nell’Oceano Atlantico non può dire se è un tonno indigeno o se viene da un altro mare. E noi ci muoviamo quanto i tonni, forse un po’ meno. Questo è un ragionamento sulle nostre caratteristiche biologiche, sul nostro DNA. Il razzismo nasce quando a queste o ad altre differenze immaginarie vengono attribuiti dei diritti diversi. È vero che spiegare che le razze biologiche non esistono può servire a combattere uno degli argomenti retorici del razzismo, ma non c’è bisogno delle razze per essere razzisti. Se io ti dico che questa cosa non la puoi fare perchè sei negro, oppure perchè sei immigrato o perchè sei musulmano, sono tre affermazioni di cui solo la prima è strettamente razzista eppure vogliono dire la stessa cosa, cioè che le persone non hanno tutte gli stessi diritti. Io temo che il contributo che noi possiamo dare come genetisti sia lo stesso contribuito degli altri cittadini, cioè di dire che non ce ne frega niente di come siamo fatti, però tutte le persone che arrivano sul territorio italiano, ad esempio a bordo di una nave italiana, hanno i diritti di tutti i cittadini. È l’articolo 3 della Costituzione.
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