Tradizionalmente “Ai confini tra Sardegna e Jazz”, la cui 33esima edizione prende il via sabato primo settembre per prolungarsi fino a domenica 9, si svolge nella piazza del Nuraghe di Sant’Anna Arresi: ma quest’anno alcuni appuntamenti del festival si terranno a Masainas e a San Giovanni Suergiu, anch’essi comuni del Sulcis-Iglesiente nella provincia del Sud Sardegna.
Non si tratta di una banale diversificazione di location, ma di una scelta di significato molto più profondo: Masainas, San Giovanni Suergiu, così come la spiaggia di Porto Pino a Sant’Anna Arresi, tanto rinomata turisticamente per le sue alte dune e la laguna con i fenicotteri rosa che ha alle spalle, sono teatro di frequenti sbarchi di migranti. Così le amministrazioni di Masainas e San Giovanni Suergiu hanno deciso di condividere con la rassegna l’idea, a cui è dedicata l’edizione di quest’anno, di una riflessione sul tema dell’integrazione, dell’incontro tra culture e tra popoli, o forse sarebbe meglio dire semplicemente tra esseri umani provenienti da luoghi diversi.
Non è la prima volta che “Ai confini tra Sardegna e jazz” interviene su questo tema di dolorosa attualità e al centro del dibattito politico: due anni fa “Ai confini tra Sardegna e jazz” aveva invitato e ospitato al festival dei giovani dell’Africa subsahariana arrivati dalla Libia e ospiti del Centro di accoglienza straordinario di Narcao.
Prendere posizione sulla questione dei migranti dovrebbe essere naturale e anche doveroso per festival intitolati ad una musica che affonda le sue radici in una tragica migrazione forzata dall’Africa, che si è sviluppata in un paese, gli Stati Uniti, popolato di migranti, e a cui hanno dato un grande contributo, accanto agli afroamericani, comunità di immigrati come quelle ebraica e italiana; una musica che nella sua fusione di elementi provenienti dall’Africa e di altri provenienti dalla cultura europea è una straordinaria metafora dell’incontro e dell’integrazione. Ma ovviamente, con questi chiari di luna, una esplicita presa di posizione di questo genere da parte dei festival di jazz non è affatto scontata, e “Ai confini tra Sardegna e jazz” è una delle eccezioni: fedele alla sua idea non evasiva, non decorativa del jazz, al quale il festival di Sant’Anna Arresi ha sempre guardato con una particolare attenzione alla decisiva presenza afroamericana, e alle sue espressioni musicalmente e politicamente più impegnate.
Gli artisti in cartellone sono stati invitati a intervenire sul tema che “Ai confini tra Sardegna e jazz” ha messo al centro della sua edizione 2018. Il programma è, ça va sans dire, di alto profilo: “Ai confini tra Sardegna e jazz” è non da oggi il festival del jazz italiano di maggiore sostanza e audacia, e non stiamo parlando solo dei festival della stagione estiva.
Tra i protagonisti un maestro del sax tenore come David Murray, sia con il proprio quartetto che in un quartetto – un progetto speciale del festival – con un notevole sax tenore della giovane generazione, James Brandon Lewis, e alla batteria una delle figure di punta del jazz di oggi, Tyshawn Sorey; un beniamino del festival, il trombettista Rob Mazurek, col quale, oltre che con un proprio gruppo e in solo, si esibirà il pianista britannico Alexander Hawkins, uno dei maggiori talenti delle giovani generazioni del jazz europeo; un gruppo a cavallo tra i generi come Young Mothers; e il quartetto italiano Roots Magic, una delle migliori formazioni espresse dal jazz italiano in questi anni. Tra i momenti maggiormente attesi, la conduction nella quale Tyshawn Sorey, che ha brillato già nell’edizione dello scorso anno, dirigerà un’orchestra di giovani musicisti del Conservatorio di Cagliari.
Qui una parte dell’esibizione del trio di Tyshawn Sorey dello scorso anno.