Da cinque giorni nel sud est della Turchia si sta svolgendo una vasta operazione militare che ha coinvolto 10 mila tra soldati e poliziotti, oltre all’aviazione turca. Obiettivo il PKK, il partito curdo dei lavoratori che il governo turco considera un’organizzazione terroristica.
Retate, rastrellamenti ed attacchi con mezzi militari si sono svoltı in province a maggioranza curda, mentre due F-16 hanno bombardato rifugi e supposti magazzini d’armi nel nord dell’Iraq, dove il PKK ha alcune basi. Quotidianamente il sito internet dello stato maggiore turco viene aggiornato con il numero dei presunti militanti del PKK che sono stati uccisi. Almeno cento, stando ai dati del pomeriggio del 23 dicembre. Le autorità turche non sono altrettanto zelanti nell’informare sul numero di vittime civili provocate dall’intervento di esercito e polizia.
Interventi via terra e bombardamenti stanno martoriando decine di città e quartieri del sud est turco. Secondo un recente dossier prodotto da TIHV, una fondazione turca per i diritti umani, tra il 16 agosto ed il 12 dicembre in Turchia sono stati imposti 52 coprifuoco e vi sono state 160 vittime civili, di cui 44 bambini. Un’aggressione nei confronti della popolazione curda che va avanti da quando il partito filo curdo HDP si è imposto sullo scenario politico turco, superando per la prima volta la soglia di sbarramento del 10 per cento nelle elezioni di giugno e riconfermandosi nelle elezioni anticipate svoltesi lo scorso novembre.
Nelle ultime settimane gli attacchi sono aumentati, ma solo da fonti curde è possibile reperire informazioni sull’offensiva turca. L’operazione, con la scusa della lotta al terrorismo – che sia per mano dell’Isis o del PKK- sta cercando di annientare la resistenza di una popolazione.
Solo nell’ultima settimana tra le vittime dell’esercito turco ci sono Ömer Sayan, un deputato HDP di 75 anni, ucciso dai cecchini; Dilek Doğan, un’attivista curda per i diritti delle donne di 25 anni, ammazzata dentro casa durante un blitz delle armate speciali; Mehmet Mete, di 11 anni, rimasto intrappolato nella sua casa distrutta dai carri armati turchi; Emine Gok, Ayse Buruntekin e Zeynep Yilmaz rimaste vittime insieme ai loro tre figli di colpi di arma da fuoco. E più si va a ritroso, più la lista si allunga.
Città come Silopi, Nusaybin e Cizre sono sotto coprifuoco da sette giorni. A Sur, qurtiere storico della citta di Diyarbakır, la capitale elettiva del Kurdistan turco, la situazione dura da venti giorni e le strade sono scenario di guerriglia. Coprifuoco significa niente luce, niente acqua, mezzi di comunicazione interrotti, ospedali e mezzi di soccorso bloccati, scuole chiuse.
Per rompere gli assedi, migliaia di persone hanno marciato fra i villaggi e le città del sud est, utilizzando sentieri di montagna per aggirare i blocchi. Le manifestazioni sono state represse con lacrimogeni. Lo stesso è accaduto in altre città della Turchia come Istanbul, Ankara e Izimir.
Ma a fare impressione, oltre ai numeri, è il silenzio politico e mediatico che circonda questa costante violazione di diritti umani.