Almeno 59 dispersi, secondo la polizia di Shenzhen, ma l’agenzia di Stato Xinhua parla di 91 – 59 uomini e 32 donne – per la frana che ha distrutto 33 edifici domenica mattina nel parco industriale di Hengtaiyu, alla periferia della città simbolo del boom manifatturiero cinese degli ultimi 30 anni.
Tra gli edifici crollati ci sono tre dormitori operai, mentre circa 900 persone sarebbero state portate in salvo poco prima che la montagna di “terra rossa e fango” – come la definisce Xinhua – ricoprisse oltre 10 ettari. La frana ha anche rotto una conduttura di gas naturale provocando un’esplosione che è stato sentita a 4 chilometri di distanza.
Millecinquecento soccorritori sono all’opera e i media di Stato citano funzionari locali secondo cui “segni di vita” sono stati individuati in tre punti diversi di quella che ormai appare come una spianata di fango, mentre l’area è pattugliata da poliziotti ogni dieci metri.
Secondo il ministero della Terra e delle Risorse Naturali, a franare sarebbe stata una discarica di terra e materiali da costruzione alta come un edificio di 20 piani: una vera e propria collinetta artificiale troppo grande e dalle pareti eccessivamente ripide, quindi instabile, ha riferito il ministero.
Testimonianze dei lavoratori raccolte dal South China Morning Post di Hong Kong parlano di un numero crescente di camion che negli ultimi tempi avrebbero scaricato, di fianco al parco industriale, tonnellate di rifiuti provenienti da cantieri edili della zona. Gli intervistati hanno aggiunto di avere segnalato da subito la pericolosità della discarica, soprattutto durante la stagione delle piogge, ma che le loro denunce sono cadute nel vuoto.
Sui social media, come Weibo, la gente sta sfogando la propria rabbia e resta in attesa dei risultati definitivi dell’indagine, ordinata immediatamente dal presidente Xi Jinping e dal premier Li Keqiang. Il sindaco di Shenzhen Qu Xin, che era a Pechino per impegni, ha fatto subito ritorno nella città per coordinare i soccorsi.
Ma queste sono le reazioni scontate, dovute, mentre la vox populi che si esprime soprattutto in Rete sottolinea come questo sia un disastro provocato dall’uomo, non dalla natura, e chiede risposte.
Di solito il potere cinese reagisce a questi eventi identificando dei responsabili nel tempo più breve possibile, accusandoli magari di corruzione per non avere rispettato norme di sicurezza o ambientali e dandoli in pasto ai media. È una strategia di cui i cinesi non hanno sicuramente l’esclusiva, definita “name and shame” – nomina e svergogna – che è stata messa addirittura nero su bianco nell’ultimo accordo sul clima di Parigi, dove si stabilisce che, in mancanza di un sistema di sanzioni condiviso da applicare ai Paesi inquinatori, si cercherà di spingerli a cambiare registro facendo nomi e cognomi. Nello specifico della Cina, serve anche a supportare la campagna anticorruzione del presidente Xi Jinping. Ma in un contesto di non trasparenza dell’informazione, le voci e la sfiducia proliferano.
Certo, appare altamente simbolico che proprio nel momento di difficoltà del modello “Cina-fabbrica del mondo”, quando la produzione industriale rallenta e molte manifatture chiudono, lo stesso modello presenti il conto anche in termini di sicurezza e vite umane.
C’è tutto. Il luogo innanzitutto: quella Shenzhen che il “piccolo timoniere” Deng Xiaoping identificò come Zona di Sviluppo Speciale oltre trent’anni fa e che, da ex villaggio, si trasformò in metropoli di manifatture che hanno prodotto merci di ogni tipo, destinate a invadere il mondo. La scelta fece leva sugli investimenti stranieri, appositamente veicolati sul delta del Fiume delle Perle; e si servì della cosiddetta “politica della terra”, in base alla quale i terreni contadini venivano requisiti e destinati a uso industriale. Ora, la terra sembra quasi prendersi una tragica rivincita.
C’è poi il capannone industriale e il dormitorio operaio che crollano. Xinhua riferisce che la frana ha travolto 14 palazzine industriali, due costruzioni destinate a uffici, una mensa, tre dormitori e 13 non meglio specificati “piccoli edifici”.
In Rete, c’è chi avanza il sospetto che le strutture architettoniche fossero precarie e questo ci porta direttamente al terzo elemento simbolico dell’ex-boom economico, la speculazione edilizia: non è certo un caso che la collina di fango e detriti che è franata sul parco industriale fosse probabilmente creata dagli avanzi dei cantieri edili.
Infine, le vittime. È presto per averne la certezza, ma è probabile che siano lavoratori migranti, quelli rimasti indietro nel “grande sogno cinese” e nel “benessere moderato”, sbandierati come futuro della Cina.