Dopo l’escalation di violenza in Burundi, finalmente, la comunità internazionale alza la voce. Ma forse è già troppo tardi. Ban Ki-moon, ha definito agghiaccianti le violenze in Burundi. Anche l’alto commissario Onu per i Diritti umani, Zeid Raad al Hussein ha sostenuto che il Burundi è al punto di rottura, sull’orlo di una guerra civile.
Al Hussein ha chiesto l’imposizione di sanzioni come il blocco dei beni di alcuni potenti dell’entourage del presidente Nkurunziza e un divieto di viaggiare contro i responsabili della crisi. Sul Burundi ci è riunito: ad Addis Abeba, anche il Consiglio sulla Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana l’ha approvato. “L’Africa – si legge sul suo profilo Twitter – non permetterà un altro genocidio sul suo suolo”. Durante la riunione è stata evocata anche la possibilità del dispiegamento di una forza africana nel Paese. È intervenuto anche il Commissario dell’Unione Africana per la Pace e la Sicurezza, Smail Chergui, secondo cui le violenze in Burundi devono cessare immediatamente.
La crisi politica in Burundi è cominciata alla fine di aprile con la decisione del presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo, controverso mandato, poi ottenuto nonostante le manifestazioni dell’opposizione e un fallito tentativo di golpe avvenuto a maggio. Sono diverse centinaia, finora, i morti accertati.
E proprio in questi giorni la crisi si è ulteriormente aggravata tanto che Ban Ki Moon, quasi cadendo dalle nuvole, ha detto che “Con l’ultima serie di eventi violenti il Paese sembra aver compiuto un ulteriore passo verso la guerra civile. Le tensioni a Bujumbura sono ora ad un livello molto alto”.
Effettivamente, dopo le ultime violenze, pare che ci siano state ricerche intensive di oppositori casa per casa. Un numero imprecisato di persone sarebbe rimasto vittima di esecuzioni sommarie, altre centinaia di giovani sono stati arrestati e in molti sono stati portati via verso destinazioni ignote.
Intanto a Bujumbura il governo del presidente Pierre Nkurunziza ha scelto la strategia del silenzio. Sui canali ufficiali in rete e su Twitter, le autorita’ fanno riferimento soltanto all’apertura della “settimana del thè”, di cui il Burundi è uno dei primi produttori africani.