Dopo quasi cinque anni di guerra e probabilmente più di 300mila morti la comunità internazionale sta cercando una soluzione diplomatica alla crisi siriana. Nelle scorse settimane due riunioni a Vienna, questo fine settimana un nuovo incontro a New York. Per la prima volta partecipano tutti gli attori esterni della guerra siriana. Non solo Stati Uniti e Russia ma anche Arabia Saudita, Turchia e soprattutto Iran.
Il conflitto siriano e anche una guerra per procura, dove le potenze mondiali e regionali cercano di affermare la loro presenza in Medio Oriente. Il fatto che si parlino è quindi importante. L’obiettivo finale, però, è quello di portare al tavolo negoziale le fazioni siriane che si stanno facendo la guerra dal marzo del 2011: il regime di Assad e l’opposizione. Russi e americani hanno concordato in linea di massima una road map che prevede, a partire da gennaio, un cessate il fuoco, un governo di transizione dopo sei mesi, elezioni dopo 18 mesi.
Le modalità, però, vanno ancora fissate. E qui iniziano i problemi. Due i nodi principali: il futuro di Bashar al-Assad e la partecipazione dei gruppi armati alla trattativa. Il fronte anti-regime continua a chiedere che Assad non partecipi alla transizione. Di opinione opposta, ovviamente, il governo di Damasco. La comunità internazionale ha raggiunto su questo un punto di compromesso: il negoziato comincia con Assad e in linea di massima finisce senza il presidente siriano. Una via di mezzo che ha convinto gli sponsor del regime, Russia e Iran, a dialogare con l’occidente sulla Siria.
Sul ruolo dei ribelli nel negoziato entra invece in gioco la questione dei gruppi terroristici. Assad e i suoi alleati si oppongono alla presenza di qualsiasi gruppo islamico. Ovvia l’esclusione di al-Nusra, il braccio siriano di al-Qaida, più incerto invece il destino di altri gruppi, come Ahrar al-Sham, che hanno una rigida interpretazione della religione islamica ma anche una solida base sociale. Il problema è che si tratta di realtà importanti che controllano ampie zone di territorio, soprattutto nel nord della Siria.
Per il successo di qualsiasi negoziato, a maggior ragione in una situazione così complessa come quella siriana, è necessaria la massima rappresentatività possibile.
In questi giorni alcuni esponenti dell’opposizione hanno detto che il primo responsabile di atti di terrorismo in Siria è il regime. Due rapporti pubblicati questa settimana hanno ricordato proprio le responsabilità del governo.
Secondo la Rete Siriana per i Diritti Umani, un’organizzazione indipendente che lavora con le Nazioni Unite, Assad ha provocato il 95% delle vittime civili. Le operazioni dell’esercito siriano e dei suoi alleati avrebbero ucciso almeno 181mila persone, compresi 19mila bambini.
Nell’ultima settimana i raid russi e siriani si sono concentrati sulla provincia di Lattakia (costa mediterranea), su Aleppo e sulla regione di Ghouta a est di Damasco.
“I raid sono andati avanti per un giorno intero – ci ha raccontato Tariq, un insegnante d’inglese che vive Kferbatna, nella periferia orientale di Damasco – . Sembravano non finire mai. Hanno colpito diversi edifici vicino a casa mia. Siamo vivi per miracolo. Dopo anni di assedio ci hanno anche bombardato”.
L’altro rapporto pubblicato in questi giorni è di Human Rights Watch e si intitola Se i morti potessero parlare. Dopo una ricerca durata quasi un anno l’organizzazione per i diritti umani ha ricostruito le storie di alcuni cittadini siriani morti nelle carceri dei servizi di sicurezza. Human Rights Watch è partita dalle foto fatte uscire dalla Siria da un disertore, nome in codice Cesare, che durante il suo lavoro negli ospedali militari aveva fotografato più di 28mila cadaveri. Dopo questa verifica, seppur parziale, il suo materiale acquista credibilità.
L’intervento russo prima e gli attentati di Parigi poi hanno portato l’attenzione dell’intera opionione pubblica mondiale sullo Stato Islamico. In questo processo, comprensibile, si sono però persi di vista alcuni elementi importanti, che bisogna tenere a mente se si vuole capire sul serio quello che sta succedendo in Medio Oriente. Assad non è solo responsabile di decine di migliaia di morti tra la popolazione civile, è anche co-responsabile per il rafforzamento dell’ISIS. Prima dello scoppio della guerra civile in Siria il governo di Damasco ha facilitato il passaggio di molti estremisti islamici verso l’Iraq. Alcuni sono poi tornati in Siria sotto la bandiera dello Stato Islamico. Il regime ha liberato anche diversi criminali che negli anni si sono arruolati nell’ISIS. E infine dietro alla profonda radicalizzazione di alcuni cittadini siriani, diventati miliziani del Califfato, c’è anche la durissima repressione di Assad, prima e durante la guerra.
Lo sforzo diplomatico di queste settimane è senza precedenti. Il momento va quindi sfruttato fino in fondo. Allo stesso tempo, trattandosi di un attore così importante, la partecipazione di Assad al negoziato è indispensabile, almeno in un primo momento. Ma le azioni e le responsabilità del regime non vanno dimenticate, altrimenti il processo di pace non porterà da nessuna parte.