Per via della società liquida, ogni previsione sui prossimi 40 anni di Radio Popolare è priva di senso. Sappiamo con certezza solo una cosa: la Radio si salverà dalla glaciazione. In fondo è una prerogativa di tutti quelli che vedono il mondo in anticipo. Insieme a lei si conserverà il suo patrimonio più prezioso: l’indipendenza, che non sta negli intenti, nelle parole, ma nei numeri. Finché c’è gente disponibile a pagare di tasca propria perché non abbia un padrone, la Radio sarà libera, ma libera veramente. Dopo, no. Per questo sono abbonato anch’io. Ci si abbona su questo sito. Altrimenti il numero telefonico da comporre è 02.392411. O ancora, recarsi in Via Ollearo: il parcheggio è facile.
Non ci lavoro più da cinque anni ormai, alla Radio, ma mi manca tantissimo anche se in Rai – il rapporto è da sempre osmotico – posso applicare lo stesso approccio giornalistico. Perché la Radio insegna un rispetto profondo, di puro pubblico servizio, verso i propri ascoltatori. Insomma, non ha paura di confrontarsi con la Comunità. Di farci i conti. Di crescere insieme.
Ecco una stima precisa delle categorie di ascoltatori della Radio a cui sono più affezionato e che sono destinate a rimanere inscalfibili nel tempo e nello spazio:
– quelli sempre più a sinistra di te
– quelli che “non parlate mai dei vegani”
– quelli che si commuovono se passi “Vincenzina e la Fabbrica”
– quelli che ti chiedono se Agostoni è del Milan
– quelli che si indignano
– quelli che Pisapia l’abbiamo inventato noi
– quelli che tutto sommato era meglio prima perché con De Corato c’era più conflitto
– quelli che non sanno come si chiamano le canzoni di Crapapelata (“Muccalla, con la c. No con la cappa, con la c, mica è Kossiga”)
– quelli che chiamano dopo Sidecar per sapere che cosa danno all’Anteo
– quelli che al microfono aperto non chiamano per timidezza
– quelli che hanno confuso il microfono aperto con l’assemblea di condominio
– quelli che aspettano che torni l’Extrafestival il Bordertrophy la Corsa delle Grazielle
– quelli che minacciano di ritirare l’abbonamento se va ancora in onda Nostrini con le sue ghironde
– quelli che non c’è domenica senza Nostrini e prova a togliergli le ghironde che faccio un sit-in
– quelli che di abbonamenti ne fanno due – ma uno di nascosto – perché il marito è tanto compagno ma anche assai tirchio.
E poi bisogna dire che ci sono quelle di Radio Popolare. Che la radio la fanno e la guidano. Ne cito alcune. Silvana, che adesso è in pensione ma che per una vita ha diretto il nostro traffico in entrata e uscita, dalla sua bella scrivania con sfondo rigorosamente nerazzurro. La Cristina, che oggi presiede la Cooperativa. La Catiù, che amministra. Mica male, una dirigenza cosi, affiancata da tutte le decine di colleghe che hanno reso la Radio un posto migliore.
Insomma adesso che compi gli anni voglio dirtelo ancora: grazie Radiopop. Per avermi dato un microfono, per avermi cambiato la vita, per gli amici e tanto altro, così tanto che servirebbe una seduta di autoanalisi. Un mio amico tamarro (chi ama la Radio deve averne almeno uno di riferimento), pensando ai tuoi quarant’anni, direbbe che sei una splendida milfona.
Mi associo pensando che nonostante la grevità espressiva, sia un bel complimento. Passano gli anni e resti sempre bellissima. Come la frase che mi disse un vecchio saggio quando entrai ad RP la prima volta, quindici anni fa, praticamente in braghe corte: “per il tempo che rimarrai, non dimenticarti che sei a Radio Popolare. ‘Popolare’ vuol dire che devi ascoltare, stare dalla parte della gente, degli ultimi, e che non te la devi tirare”. A non aver paura degli aghi, me la sarei tatuata.