“L’ho visto, il suo spirito è alto ma è dimagrito e ha i capelli bianchi”.
Così si è espressa la moglie di Pu Zhiqiang al termine del processo che si è svolto oggi in una corte di Pechino contro suo marito. Dopo 19 mesi dietro le sbarre, uno degli avvocati per i diritti civili più noti e ammirati della Cina è stato infatti giudicato oggi per ragioni che hanno poco a che fare con il crimine e molto con la libertà di coscienza. Pu Zhiqiang, 50 anni, era accusato di avere scritto sul social media Weibo e con diversi pseudonimi post irriverenti nei confronti delle autorità cinesi tra il 2011 e il 2014, anno in cui è stato arrestato.
Rischia 8 anni di detenzione e la sentenza può essere emessa in ogni momento nel giro di una settimana. Due sono le accuse formali nei suoi confronti: “Suscitare liti e provocare guai” e “incitamento all’odio etnico”. Tra i sette post incriminati, lo sfottò a un membro dell’assemblea nazionale del popolo che si era vantato pubblicamente di non avere mai votato contro decisioni del Partito; critiche alle politiche di Pechino verso le minoranze etniche del Tibet e dello Xinjiang; accuse contro la gestione ufficiale del disastroso incidente ferroviario di Wenzhou del 2011, quando decine di persone persero la vita.
Secondo il suo avvocato, Pu avrebbe ammesso di essere l’autore dei post, si è scusato per il linguaggio maleducato, ma ha negato di voler fomentare l’odio etnico. Pu in passato è stato anche difensore del noto artista-dissidente Ai Weiwei ed è stato arrestato nel maggio del 2014 mentre partecipava a un seminario sui fatti di Tian’anmen, in occasione dei 25 anni della repressione delmovimento degli studenti.
L’accesso al tribunale è stato vietato ai media e alle delegazioni diplomatiche straniere. Fuori dalla corte erano presenti qualche decina di sostenitori di Pu e diplomatici in rappresentanza dell’Unione Europea e degli Usa, cui è stato impedito di leggere in pubblico delle dichiarazioni ufficiali. Si sono verificati tafferugli tra le forze di sicurezza sia in divisa sia in borghese e i giornalisti stranieri che cercavano di intervistare i presenti; incidenti che hanno indotto il club dei corrispondenti stranieri di Pechino a diffondere un comunicato di condanna.
“Questo tentativo di scoraggiare la copertura delle notizie – vi si legge -è una grave violazione delle regole sui corrispondenti stranieri emesse dalgoverno cinese, in base alle quali è espressamente consentito intervistare chiunque acconsenta. La copertura delle notizia giudiziarie fa parte del lavoro giornalistico e si prevede che crescerà in parallelo al progetto della Cina di sviluppare il proprio Stato di diritto”.