Domenica, a Genova, è successa una cosa. Erano forse un migliaio, in piazza De Ferraris, alle sei di sera, autoconvocati tramite Facebook. Una manifestazione organizzata tramite un social network per mostrare che la realtà è diversa da quella veicolata dai social network. Contraddizioni dei tempi che viviamo.
“Genova non solo sui social” era scritto a pennarello sulle magliette di adulti e bambini.
A volersi lasciare affascinare dalla suggestione, quella buona per l’attacco di un pezzo retorico, mille è un numero che nella città dello scoglio di Quarto ricorda qualcosa. Molti avevano pure la maglietta rossa, comprese quelle della comunità di San Benedetto al Porto fondata da Don Gallo. Evitando l’inutile retorica, i mille di domenica scorsa a Genova un messaggio all’Italia lo hanno mandato. Il messaggio che la rabbia, il dolore, la richiesta forte di verità e giustizia, si possono coniugare con la serietà, la lucidità, la fermezza.
“Di chi è la colpa del crollo del ponte?”
“Di tanti, a diversi livelli” la risposta più frequente e più d’uno aggiungeva “è anche colpa nostra”. Nostra che non abbiamo vigilato. Nostra che negli anni abbiamo abbandonato il fare politica.
I mille autoconvocati domenica scorsa a Genova, senza bandiere né simboli di partito, con 36 gradi alle sei di sera e il sudore che non faceva in tempo a bagnare le magliette che era già evaporato, hanno rappresentato la risposta più politica che la città abbia dato al crollo del viadotto autostradale Morandi.
Dopo giorni in cui i social network davano l’immagine di una città e di una nazione dove prevaleva la rabbia violenta, la risposta è stato un grande foglio di carta srotolato a terra per decine di metri su cui adulti e bambini scrivevano coi pennarelli, elaboravano il loro lutto. Affermavano la loro forza. “Rialzarsi” il verbo più usato. “Genova rialzati mugugnando”, sintesi di uno spirito che pervade la città, oppure “i genovesi si sono alzati e si rialzeranno sempre”, siglato H.L.V.S. che significa Hasta la Victoria Siempre, una firma che dà una chiarissima connotazione politica al messaggio.
In piazza c’erano tante cose dal punto di vista politico. Dal sindaco, un indipendente di centro destra cui vengono attribuite simpatie leghiste a tanti cittadini che si definirebbero “comuni” a una sinistra diffusa accomunata dal non trovare, oggi, un punto di riferimento politico.
I disegni e le parole dei bambini, invita a guardare una donna. Un ponte spezzato unito da cuori. Una scritta: “Non è giusto”.
Due ragazzi sui trent’anni vengono da Certosa, il quartiere devastato dal ponte. Un passato in collettivi di sinistra. “Se questa manifestazione fosse stata organizzata da un partito avresti partecipato?” “No, perché chi ha perso è stata Genova, non ci sono colori ormai qua, nessuna parte politica. Tutta la polemica creata non ha senso” e ripete “chi ha perso è stata Genova”.
“Non siamo stati abbastanza Stato” dice una donna che sul rotolo di carta ha scritto una poesia di Wislawa Szymborka:
“finisce con le parole ‘come mi batte forte il tuo cuore’. Qui c’è il cuore della città”.
Perché dice “non siamo stati abbastanza Stato?”
“Ci siamo trovati in in tragedia che non abbiamo saputo comprendere, non siamo stati abbastanza Stato perché siamo rimasti troppo nelle polemiche dei partiti, se invece fossimo stati tutti più addentro alle cose del nostro Stato, magari, non so”.