Affiliazione all’organizzazione dei Fratelli Musulmani, promozione delle idee del movimento islamista e diffusione di notizie false.
Ancora una volta, in Egitto, queste accuse cadono su un giornalista.
Ismail Alexandrani è stato arrestato lo scorso primo dicembre. La magistratura egiziana ha ordinato per lui un provvedimento di custodia cautelare di 15 giorni. Alexandrani è stato fermato all’aeroporto di Hurgada, località sul Mar Rosso. Si era già trasferito, dopo un breve soggiorno negli Stati Uniti, in Turchia per evitare la sorte che ha accomunato molti reporter e ricercatori dopo l’arrivo dei militari e poi di Abdel Fattah El Sisi al potere dal luglio del 2013.
Il quotidiano Mada Masr parla di segnalazioni da parte anche dell’ambasciata egiziana in Germania – paese da cui Alexandrani era partito verso l’Egitto – che avrebbe informato il governo del Cairo sui suoi presunti legami con alcune organizzazioni per i diritti umani.
Alexandrani aveva recentemente scritto diversi articoli critici contro il presidente Sisi. Sui giornali libanesi Al-Safir e Al-Modon aveva pesantemente criticato la propaganda governativa sulla nuova tratta del canale di Suez e le operazioni contro il terrorismo fatte in Sinai e nel deserto occidentale egiziano.
Proprio la sua specializzazione accademica sul terrorismo lo rende ancora più indesiderato a un regime che punta a un blocco totale di tutte le informazioni provenienti dal Sinai e dal confine occidentale libico.
Nella penisola del Sinai lo scorso 31 ottobre un aereo di turisti russi è esploso in volo provocando la morte delle 224 persone a bordo. Il gruppo affiliato all’ISIS Wilayat Sina, la provincia del Sinai, ha rivendicato l’attentato. Un duro colpo per il governo egiziano che per l’ennesima volta subisce le conseguenze di una politica fallimentare, una strategia che anziché trovare una soluzione efficace contro i movimenti jihadisti ha privilegiato la repressione di tutte le forme di dissenso al presidente Sisi.
Con le stesse accuse di Alexandrani vennero detenuti per centinaia di giorni i tre giornalisti di Al Jazeera, arrestati nell’autunno del 2013; ma in questi ultimi 2 anni sono decine i reporter arrestati o che sotto minaccia hanno lasciato il paese.
Tra di loro c’è Hossam Baghat, altro giornalista investigativo detenuto per alcuni giorni lo scorso mese, e Mohammed Shawkan, il foto-reporter arrestato durante lo sgombero del sit-in islamista di Rabaa el Adaweya nell’agosto del 2013 e da allora ancora in carcere in attesa di giudizio.
L’organizzazione per i diritti umani Amnesty International, alcuni giorni fa, ha pubblicato una sua lettera. “Finalmente, nei prossimi giorni conoscerò almeno il mio destino. Ma non so. Come mi sento? In alcun modo sento che sarà per me un giorno di giustizia. Non voglio deludervi, cerco solo di essere realista”, afferma Shawkan. “Nel mio paese abbiamo perso il senso di questo tipo di parole. Certo, dopo più di 850 giorni nel buco nero senza equità né giustizia sono perso in un limbo. Solo perché stavo facendo il mio lavoro di fotografo. Sono in prigione senza neanche sapere perché sono qui! Mi dispiace dirvi che sono diventato una persona piena di disperazione. Questo è il mio nuovo ‘me’. Comunque, continuo a resistere al mio nuovo me grazie a voi, e solo grazie a tutti voi, tutte le persone che sono al mio fianco e mi sostengono”.
L’Egitto è al 159esimo posto su 180 paesi nell’indice della libertà di stampa, posizione che vista la continua e dura repressione governativa non è destinata a migliorare.