“Gli stabilimenti italiani contano sempre meno e la piena occupazione promessa non è mai stata raggiunta“. A dirlo è il responsabile della Fiom di Torino, Federico Bellono, che ai microfoni di Radio Popolare racconta le relazioni industriali in Fiat nell’era di Sergio Marchionne, prima positive e poi dal 2009 con la fase della riduzione dei diritti in fabbrica, la rottura sul contratto nazionale dei metalmeccanici, l’uscita da Confindustria e la rottura del sindacato escludendo la Fiom da qualsiasi tavolo.
L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.
L’era Marchionne va divisa in due, perchè fino al 2009-2010 le relazioni industriali e quindi anche il rapporto col sindacato e con la Fiom è stato un rapporto alquanto corretto e positivo. Poi c’è stato un cambio di passo molto repentino che è iniziato a Pomigliano e proseguito a Mirafiori. L’azienda ha fatto prima alcune operazioni legate alle prestazioni di lavoro tese a limitare al massimo la conflittualità e il diritto di sciopero, ha introdotto un sistema di organizzazione del lavoro molto più penalizzante dal punto di vista dei ritmi e dei carichi di lavoro per le persone. Ha modificato alcuni aspetti di cui a quel tempo – parliamo del 2010-2011 – si parlò molto, cioè la riduzione delle pause sulle catene di montaggio, lo spostamento della mensa a fine giornata lavorativa. Tutto questo poi venne raccolto dalla scelta di uscire dalla Confindustria, darsi un proprio contratto di lavoro indifferenze al contratto nazionale dei metalmeccanici e questo provocò una divisione tra i lavoratori e anche tra le organizzazioni sindacali. La Fiat si diede un sistema di rappresentanza che escludeva le organizzazioni che non erano d’accordo con quel modello. Questo successe alla Fiom, estromessa dal diritto alla rappresentanza. Noi tornammo a poter rappresentare le persone grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale. C’è stata una riduzione dei diritti molto marcata, l’azienda ha imposto uno scambio tra la garanzia di mantenere il lavoro in Italia con un modo di organizzare la prestazione lavorativa più pressante e faticoso per le persone. Probabilmente non c’era bisogno di una forzatura di questo genere, che ha sicuramente fatto tendenza, anche se il fatto ad esempio la strada di non applicare più il contratto dei metalmeccanici, di uscire da Confindustria e dividere in quel modo il sindacato non fu seguita fino a quelle estreme conseguenze dall’insieme del sistema industriale. Sicuramente dall’altra parte Fiat è rimasta, ha fatto anche degli investimenti, ma ha riconosciuto che l’obiettivo di tornare alla piena occupazione negli stabilimenti italiani non è stato raggiunto. Ad oggi nei grandi stabilimenti c’è un ricorso abbastanza consistente alla cassa integrazione e ai contratti di solidarietà. Oggi quest’azienda è sicuramente molto meno attenta alla sua presenza in Italia di quanto non lo sia in altre parti del Mondo, in particolare negli Stati Uniti dopo l’operazione Chrysler. Dall’essere un’azienda profondamente italiana, forse fin troppo italiana, si è ritrovata ad essere un’azienda globale ben piantata dall’altra parte dell’oceano.