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Prima di Rosa Parks: Claudette Colvin

Il processo per l’omicidio di Emmett Till è una farsa: ma nella farsa e intorno ad essa avvengono fatti epocali. Intanto il processo diventa il primo grande evento mediatico della storia del movimento per i diritti civili.

Il procedimento si svolge nella piccola contea dove è stato ritrovato il corpo, una località non in grado di accogliere la stampa accorsa da tutti gli Stati Uniti: non ci sono alberghi che ospitino giornalisti neri, la sala che ospita il processo tiene meno di trecento persone, e la platea è segregata: i giornalisti neri vengono separati dai giornalisti bianchi e collocati lontano dalla corte.

Per chi arriva dal nord il clima è sorprendente: ai membri della giuria è permesso di bere e di portare pistole. Il tutto, nel settembre del ’55, dura cinque giorni. Ma Mose Wright, il prozio di Emmett, a cui i sequestratori del ragazzo avevano intimato di tacere se no l’avrebbe vista brutta, testimonia contro i due imputati: nello stato del Mississippi era un caso praticamente senza precedenti di un nero che accusava un bianco in un tribunale.

Quando Mose Wright puntò l’indice contro uno dei due imputati e disse “è lui”, il momento fu altamente drammatico, e storico. Dopo un’ora di camera di consiglio la giuria, completamente bianca, dichiarò gli imputati innocenti. I giurati erano stati scelti per lo più in una parte della contea molto povera, dove il senso della concorrenza nei confronti dei neri era molto forte, e dunque il loro razzismo.

Mose Wright indica gli imputati
Mose Wright indica l’imputato

Successivamente, in novembre, gli imputati furono prosciolti anche dall’accusa di sequestro. Questa volta a testimoniare non fu solo Wright, ma anche, spontaneamente, con grande coraggio, un giovane nero, Willie Reed. Wright, Reed e un altro nero che testimoniò furono aiutati dal Regional Council of Negro Leadership a trasferirsi a Chicago. Reed cambiò nome in Willie Louis, e non aprì bocca su quello che era accaduto nemmeno con la moglie, fino a quando nel 2003 accettò di parlare per un documentario. E’ morto a Chicago nel 2013.

Da subito, la vicenda di Emmett Till cominciò ad entrare nella coscienza degli Stati Uniti, anche grazie alla cultura popolare e di massa. Mentre negli ultimi mesi del ’55 escono le due canzoni di Brother Will Hairston e dei Ramparts (vedi puntata precedente), il grande poeta afroamericano Langston Hughes pubblica sul Chicago Defender una poesia che ha una grande diffusione.

Nel ’56 William Faulkner, originario del Mississippi, pubblica una riflessione in cui propone tra gli assassini e la vittima la dinamica a cui abbiamo accennato nella puntata precedente: loro volevano spaventarlo, lui non si fece spaventare, ed erano in realtà gli assassini, loro armati, loro adulti alle prese con un ragazzino che però aveva tenuto loro testa, ad avere paura. Il romanzo del ’60 di Harper Lee, che poi originò il famoso film Il buio oltre la siepe, presenta una vicenda con diversi punti di contatto con quella di Emmett Till.

Bob Dylan compone una canzone con lo stesso titolo di quella dei Ramparts. Da James Bladwin (Blues For Mister Charlie, ’64) ad Anne Moody (Coming of Age in Mississippi, ’68) a Tony Morrison (Dreaming Emmett, 2010), da Emmylou Harris (My Name Is Emmett Till, 2011) a Wadada Leo Smith, jazzman d’avanguardia originario del Mississippi (Emmett Till: Defiant, Fearless, 2012), la presenza di Emmett Till nella cultura e nell’arte americane si prolunga fino ai nostri giorni. Soprattutto a partire dagli anni novanta, documentari, trasmissioni televisive, libri, sono tornati ad investigare sulla vicenda, e ad illuminare aspetti dell’omicidio. Nel ’62 Dylan interpreta The Death of Emmett Till in una trasmissione radiofonica.

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Nella prima metà del ’55 nel Sud anche la segregazione sui trasporti pubblici comincia a scricchiolare.

Montgomery, Alabama, 2 marzo 1955: “Avevo l’impressione che Sojourner Truth mi stesse premendo verso il basso su una spalla, e Harriet Tubman sull’altra, e che mi dicessero: ‘Stai giù seduta, ragazza!’: ero incollata al mio sedile”. Sojourner Truth era morta nel 1883, e Harriet Tubman nel 1913. Nata in schiavitù nel 1797, dopo la fuga e vicende drammatiche Sojourner Truth diventa una grande oratrice abolizionista, e nel corso della guerra civile si prodiga per il reclutamento di soldati afroamericani per l’esercito dell’Unione.

Anche Harriet Tubman era nata, nel 1822, in schiavitù: riuscita a scappare, organizza missioni con cui vengono fatte fuggire e portate in salvo decine di schiavi, aiuta John Brown, il bianco che propugna la lotta armata per combattere la schiavitù, partecipa alla guerra civile anche in azioni armate, e diventa infine una attivista nella battaglia per il voto alle donne.

Sojourner Truth
Sojourner Truth

Ad avere Sojourner Truth e Harriet Tubman come angeli custodi che le intimano di non muoversi è una ragazzina nera di quindici anni, Claudette Colvin, cresciuta in uno dei quartieri più poveri di Montgomery. Ha solo quattro anni quando rimane scioccata da un episodio: è in un negozio con la madre, entrano due ragazzini bianchi e le chiedono di toccare le loro mani per confrontare il colore della pelle: e la madre le dà uno schiaffo, dicendole che non ha il permesso di toccarli.

Claudette è una ragazzina molto precoce, che pensa in grande: sogna anche un giorno di diventare presidente degli Stati Uniti. Intanto fa parte dell’organizzazione giovanile della Naacp. Claudette frequenta una scuola segregata, dove ottiene ottimi risultati e si impegna molto sul tema dei diritti civili. Il 2 marzo sta tornando a casa da scuola. Prende l’autobus e va a sedersi nei posti riservati ai neri.

Ma le regole vigenti a Montgomery come in tante situazioni di segregazione analoghe, prevedono non solo la separazione dei posti, ma anche che se un bianco rimane in pedi perché i posti per bianchi sono tutti occupati, i neri gli debbano cedere il loro. Ad una fermata sale una donna bianca, che non trova posto. L’autista dell’autobus ordina allora a Claudette, ad una sua amica e ad un altro nero di alzarsi. Non ha messo in conto che con Claudette ci sono Sojourner e Harriet, due eroine non abituate a farsi intimidire.

Non solo Claudette è una giovane militante, non solo ha riflettuto sui diritti civili, ma quella mattina a scuola ha fatto un compito proprio sulla discriminazione razziale, parlando di un negozio di abbigliamento dove ai neri è vietato usare le cabine per provare gli abiti: mentre è seduta sull’autobus lei sta proprio ripensando a quello che ha scritto a scuola. Che abbia in mente Sojourner e Harriet è indicativo del suo grado di preparazione e di un orgoglio razziale che si nutre di grandi esempi, cosa che a quell’epoca comincia ad essere comune fra gli afroamericani.

Claudette Colvin
Claudette Colvin

Claudette non si alza: nove mesi prima di Rosa Parks rompe l’incantesimo. Il suo gesto non è preordinato, è una reazione imprevista anche per lei stessa, ma certamente preparata da ragionamenti, letture, e dalla sensibilizzazione della Naacp. Claudette viene tirata su e comincia a dare in escandescenze.

Intervengono due poliziotti. La decisione di non alzarsi è straordinaria, ma Claudette non si limita a questo: in un Sud degli Stati Uniti con una tradizione di punizioni legali e di linciaggi persino – oggi può sembrare incredibile ma era letteralmente così – per gli sguardi dei neri verso i bianchi, Claudette risponde a chi la vuole far alzare e ai poliziotti, un affronto addirittura peggiore del non essersi voluta muovere. Continua a strillare che non hanno il diritto di farlo, che ha pagato il biglietto, persino che stanno ledendo il suo “diritto costituzionale”. Claudette viene ammanettata e arrestata.

Un mese e mezzo dopo, il 19 aprile, sempre per non aver ceduto il posto su un bus di Montgomery viene arrestata un’altra donna, Aurelia Browder, più o meno trentacinquenne; Mary Louise Smith, diciotto anni, viene arrestata in ottobre per lo stesso motivo; viene arrestata anche una settantenne, Susie McDonald. La Naacp si era subito chiesta se prendere la palla al balzo e trasformare Claudette nel simbolo della battaglia contro la segregazione nei trasporti.

Ma Claudette ha solo quindici anni, e si scopre anche che quando mette in atto il suo storico rifiuto è incinta – non si saprà mai di chi. La Naacp non può permettersi di sbagliare e fa una scelta tattica: Claudette sarebbe un simbolo troppo vulnerabile, la Naacp ne vuole uno inattaccabile. Rosa Parks, militante della Naacp molto presente nell’organizzazione a Montgomery – è fra l’altro incaricata di fare la supervisione dei giovani della Naacp di cui Claudette fa parte – è una donna matura, sui quarant’anni, lavora, e può figurare come una appartenente ad una rispettabile classe media nera: maliziosamente potremmo anche aggiungere che il suo look distinto e la sua carnagione piuttosto chiara potevano aiutare.

Tuttavia Claudette e le altre donne citate vengono contattate dalla Naacp e accettano di intentare una causa con il sostegno dell’associazione, azione in sede legale che darà i suoi frutti nel ’56, con la sentenza che dichiarerà incostituzionale la segregazione sui trasporti pubblici e che porterà alla conclusone del boicottaggio.

Un autobus durante il periodo della segregazione
Un autobus durante il periodo della segregazione

Il primo dicembre è Rosa Parks a non muoversi e ad essere arrestata: dichiarerà poi di avere pensato ad Emmett Till. Il 5 scatta il boicottaggio, guidato da Martin Luther King.

Il figlio di Claudette Colvin nacque nel dicembre del ’55, proprio mentre iniziava il boicottaggio. Claudette nel ’58 fu costretta a lasciare Montgomery: del resto Rosa Parks lo avrebbe fatto prima di lei, nel ’57. Non solo c’erano da fronteggiare le reazioni dei bianchi – una delle donne coinvolte nelle azioni legali ad un certo punto se ne tirò fuori a causa delle intimidazioni che subiva – ma non mancava nemmeno chi all’interno della comunità nera bollava Claudette e chi aveva seguito il suo esempio come delle piantagrane che avevano creato una situazione di tensione.

Claudette Colvin non si è mai sposata; a New York, dove ha lavorato per trentacinque anni come infermiera a Manhattan, ha avuto un secondo figlio, mentre il primo è morto nel ’93. Non ha mai cercato di darsi importanza per quello che aveva fatto, di cui ha parlato raramente, ma di cui è rimasta orgogliosa, come ha tenuto a dire negli ultimi anni quando il suo gesto e la sua figura hanno cominciato giustamente ad essere ricordati.

Su come si sentisse per non aver ricevuto i riconoscimenti tributati a Rosa Parks, nel 2005 ha dichiarato di non essere arrabbiata, ma un po’ delusa: e che essere stata riscoperta così tardi le ha fatto l’effetto – l’espressione è sua – “di fare Natale in gennaio”. E molto lucidamente ha affermato: “E’ giusto che la gente capisca che Rosa Parks era la persona più adatta per il boicottaggio. Ma è giusto anche ricordare che ci furono altre quattro donne che sollevarono la questione in sede legale e che contribuirono alla fine della segregazione”.

Anche la battaglia contro la segregazione nei trasporti entrò nel blues: nel ’56 Brother Will Hairston celebra il boicottaggio con The Alabama Bus.

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  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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