«Il ministro Salvini dichiara che in Italia sarebbe in atto una “esplosione di aggressioni” da parte di “pazienti psichiatrici”. Gli italiani debbono sapere che si tratta di una notizia destituita di ogni fondamento il 95% dei reati violenti commessi nel nostro Paese è attribuibile a persone cosiddette “normali” . È più probabile che una persona che soffre un disturbo mentale sia vittima, non carnefice. Diffondere false notizie come quelle date dal Ministro non fa altro che aumentare paure infondate sulle persone affette da disturbi psichici, etichettandole ingiustamente ed indiscriminatamente come “pericolose”, aggravandone il già tremendo fardello dello stigma e della discriminazione», denuncia la Società Italiana Psichiatria.
Ne abbiamo parlato con Franco Rotelli, collega e collaboratore di Franco Basaglia, con cui ha lavorato prima a Parma e poi dal 1979 nel laboratorio triestino, diventato un caso di riferimento mondiale.
Rotelli è uno dei padri padre della Legge 180 varata quarant’anni fa. Stasera a Milano, allo spazio Olinda, all’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, parteciperà a una serata di dibattito sugli scritti e il pensiero di Basaglia, l’abbiamo intervistato stamani in Giorni Migliori.
È una cosa assolutamente irresponsabile, non solo perchè è una balla, ma perchè stimola un’idea di pericolosità che abbiamo impiegato anni a demistificare. Ricordiamoci che negli anni ’60 c’erano 100mila persone nei manicomi, giudicate pericolose per sé stesse e per gli altri. I manicomi non ci sono più e queste 100mila persone non sono in giro per l’Italia ad ammazzare bambini. È come dire che i comunisti mangiano i bambini: si può dire, ma insomma si potrebbe anche evitare di dire queste stupidaggini.
Sì, soprattutto se si è Ministri. Qual è l’immagine che ti piacerebbe raccontare di Franco Basaglia? Qual è l’immagine che oggi ti sembra più viva?
L’immagine più viva è la felicità quasi infantile e adolescenziale quando saliva e scendeva da quell’area con cui fece una gita sopra Trieste anche grazie alla solidarietà di Alitalia che ci offrì un aereo per portare in giro i matti sopra Trieste. Questo giro lo aveva reso così felice, credo che in quel momento si sia sentito finalmente vincente.
Lo comprendo. Volare anche come matti sopra Trieste sarebbe bello anche per tutti noi. Dove siamo arrivati? Cosa c’è ancora da fare sui territori e nelle Istituzioni?
C’è tutto ancora da fare. Sono state rimosse alcune delle travi che ostacolano un cammino, ma c’è ancora tutto da fare. Bisogna aprire, abbattere i muri e assumersi la responsabilità di quello che succede quando quei muri vengono abbattuti. Ricreare rapporti e legami, ricreare la vita intorno alla persone con problemi e attorno ai problemi delle persone. Questo non finisce mai, c’è ancora gente che vuole portargli via la vita, immaginare un’altra cosa che rimanda alla reclusione e alla separazione invece di lavorare tutti insieme per moltiplicare le occasioni vitali di scambio tra di noi. Possiamo ancora sognare in una città che cura, che si prende in cura i propri cittadini. Le nostre città possono farlo, ci sono un sacco di esempi in cui le città si prendono in cura davvero i nostri cittadini. La società che cura può essere il grande obiettivo e la grande utopia in cui metter dentro tutta la questione della 180, della psichiatrica, dei servizi specifici, ma dentro un disegno molto più grande.