A Roma è avvenuta fra musica, bolle di sapone, volti e muri pitturati di vernice colorata l’uscita dal centro di accoglienza autogestito Baobab. E’ stato un saluto lungo e sfiancante , fisicamente ed emotivamente, per i tanti volontari che hanno tenuto in piedi una struttura che da maggio ha visto passare 35 mila persone. Inventariare tutto il materiale ricevuto in donazione, assicurarsi della destinazione di ognuno dei migranti, convincere gli ultimi recalcitranti, organizzarsi per gestire il camper che già da domani funzionerà da punto informativo e di collocamento dei nuovi arrivi. Il tutto fra saluti, foto di gruppo, abbracci e qualche lacrima.
Nel frattempo Abdullah, Ali, Karim, l’ingegnere del Camerun, il dissidente del Gambia, il ragazzino eritreo, diventavano degli h 5 o h 24, delle sigle da assegnare a luoghi diversi a seconda dello status , rifugiato, richiedente asilo, respinto. Mentre un laconico comunicato del comune di Roma annunciava l’avvenuta chiusura e il ritorno alla legalità e una vaga promessa di dare continuità al meccanismo di accoglienza.
Oltre alla sistemazione di tutti gli ospiti del centro, in un incontro avuto con il commissario straordinario di Roma, Tronca, i volontari hanno ottenuto la promessa di un locale da adibire a magazzino per le donazioni e di un altro locale da adibire a punto di informazione, orientamento, collocazione in prossimità di una delle due grandi stazioni di Roma, per dare ai migranti che continueranno ad arrivare, una risposta degna, cosa che il piccolo centro Baobab, fuori dalle istituzioni ed in maniera spontanea e partecipata, è riuscito dare per mesi.