Mentre in Francia la povera Giovanna d’Arco viene scomodata dai nazionalisti per fare da spauracchio ai terroristi, a Milano, per l’inaugurazione della stagione d’opera e balletto, il Teatro alla Scala le dedica il posto d’onore in cartellone, con una delle opere meno rappresentate del primo periodo verdiano.
Su libretto del fedele (finchè non ebbe a litigare irreparabilmente con il Maestro…) Temistocle Solera, la “Giovanna d’Arco” racchiude molti elementi cari al primo Verdi ma, come ha fatto recentemente osservare Riccardo Chailly (sul podio il 7 dicembre) anche molti futuri germi del Verdi maturo.
Tuttora controversa storicamente e affrontata da letteratura e cinema con simile entusiasmo, ma con interpretazioni del personaggio non sempre uniformi, quella della Pulzella d’Orléans è una vicenda tanto perfetta per il melodramma quanto insidiosa per una regia teatrale contemporanea.
Nel libretto, la giovane eroina (interpretata alla Scala dal soprano Anna Netrebko) si aggira fra boschi, radure, rocche e piazze piene di furibondi connazionali, e nel finale non finisce sul rogo ma muore coraggiosamente in battaglia.
Con coraggio e aplomb, la consolidata coppia artistica formata da Moshe Leiser e Patrice Caurier firma questo nuovo allestimento scaligero e rivela, nelle parole di Leiser quando ha incontrato la stampa, di avere concluso, come dopo una moderna psicanalisi, che Giovanna è vittima delle sue nevrosi visionarie.
Ascolta il regista Moshe Leiser su “Giovanna d’Arco” alla Scala