«La questione della libertà di stampa è tornata con urgenza al centro del dibattito pubblico e con essa la necessità del giornalista di svincolarsi da condizionamenti sempre più potenti e pervasivi. È per questo che la vicenda umana e professionale di Pippo Fava, che intorno al giornale da lui fondato, I Siciliani, ha formato una nuova generazione di giornalisti, mi è parsa esemplare e commovente, in grado di disegnare una prospettiva e un futuro. Cose di cui oggi più che mai abbiamo bisogno».
Parole di Daniele Vicari per presentare il film per la tv “Prima che la notte”, in onda su Rai1 mercoledì 23 maggio in occasione dell’anniversario della Strage di Capaci. Una storia che risale a metà degli anni ‘80, Fava fu ucciso dalla mafia il 5/1/1984, ma ancora attuale se si pensa alla quantità di giornalisti che vivono sotto scorta per le minacce, da Paolo Borrometi a Federica Angeli e Roberto Saviano.
Il film è scritto da Claudio Fava, Michele Gambino, Monica Zapelli, Daniele Vicari. Tratto dall’omonima opera letteraria di Claudio Fava e Michele Gambino (Baldini & Castoldi), prodotto da Fulvio e Paola Lucisano. Pippo Fava è interpretato dall’attore Fabrizio Gifuni.
L’intervista a Daniele Vicari, regista di film come “Diaz” e “Sole cuore amore” e che non si è mai sottratto al cinema s’impegno politico.
Un film così, in prima serata su RaiUno, è un fatto importante, si ricostruisce la storia di un giornalista ucciso dalla mafia e che si è speso molto per raccontare la mafia. Come è nata la sceneggiatura?
La sceneggiatura nasce dal libro da cui il film prende anche il titolo, Prima Della Notte, che è stato scritto a quattro mani da Gambino e da Fava e che racconta da due punti di vista molto diversi, quello del figlio e quello dell’allievo prediletto, una personalità estremamente complessa che è appunto la personalità di Pippo Fava: un uomo purtroppo poco conosciuto, ma che ha fatto talmente tante cose e ha dato talmente tanto nella sua vita che non è semplice da schematizzare. La forza e l’energia di questo libro, in cui i punti di vista sulla personalità di Fava divergono profondamente – il punto di vista di Gambino è molto più scanzonato, rileva la vivacità e il desiderio di Pippo Fava di vivere e divertirsi, mentre il punto di vista di Claudio è quello di un figlio che un po’ subito il padre e la sua straordinaria personalità – è che in questo contrasto e in questo conflitto di punti di vista emerge un racconto di un uomo molto interessante. La cosa difficile nella scrittura di questa sceneggiatura era trovare una sintesi rispetto a tutti i talenti di Pippo Fava, che era uno sceneggiatore, uno scrittore, un drammaturgo, un pittore, un giornalista, e quindi tutte queste cose a grandi livelli. Raccontarlo senza tradirlo non era semplice, ma soprattutto quando racconti questo tipo di cose, così importanti, la cosa più difficile è trovare un fulcro narrativo. Noi l’abbiamo trovato intorno al rapporto tra Pippo Fava e i suoi allievi, che sono i cosiddetti “carusi” di Pippo Fava, cioè dei giovani con i quali lui ha costruito due giornali, e quindi ha realizzato una sorta di scuola di giornalismo che ha dato un contributo sostanziale al giornalismo italiano. Intorno a questo nucleo abbiamo costruito tutto il racconto, quindi Fava è visto anche dal punto di vista dei suoi allievi. A me questa cosa è piaciuta fin da subito e per questo mi sono molto riconosciuto nel racconto e mi sono molto divertito a fare il film.
L’attore Fabrizio Gifuni con la sua interpretazione sembra essersi avvicinato molto alla figura di Pippo Fava, pur lavorando su toni molto personali. Nella sua interpretazione c’è anche uno sguardo molto attuale. Come è stato lavorare con lui e con Claudio Fava: era sul set, ha contribuito a lavorare sul ricordo di suo padre?
La questione di Claudio è molto delicata, perchè Claudio è il figlio di una persona che è stata uccisa e cose come queste non passano. Questi dolori non passano. Lui ha fatto uno sforzo enorme a scrivere il libro e poi a scrivere la sceneggiatura del film. Nel momento in cui abbiamo finito questo percorso – il film è frutto appunto di una collaborazione profonda, perchè Claudio, così come Michele Gambino, si è dovuto mettere molto in gioco. Io e Monica Zatelli abbiamo raccolto la loro esperienza e abbiamo cercato di amalgamarla, ma loro due hanno vissuto in presa diretta tutti gli avvenimenti, anche la parte più tragica e anche il dopo. Nel film abbiamo cercato di valorizzare tutti questi aspetti e quando abbiamo finito di scrivere la sceneggiatura io ho sentito che sia Claudio che Michele avevano un po’ esaurito tutta la loro carica emotiva e tutta la loro energia. Non nascondo che sia io che gli attori avevamo bisogno anche di grande libertà, per cui né Claudio né Michele sono stati coinvolti nella realizzazione del film. Immagino Dario Aita, che interpreta appunto Claudio, recitare sul set con lo stesso Claudio che lo osserva… è una cosa difficilissima.
Tra l’altro gli somiglia molto.
Sì, abbiamo fatto un lavoro sui personaggi per rendere credibile il loro look senza fare forzature, ma soprattutto quello che ha fatto Dario, così come il lavoro che ha fatto Fabrizio, è stato di dare una caratteristica non mimetica o personale, ma credibile di queste personalità che sono opposte. La personalità di Pippo Fava e di Claudio Fava nel film sono opposte.
Nonostante la ricostruzione e l’ambientazione di quegli anni, come dicevo prima, si respira un’atmosfera molto attuale e non è un caso visto che il problema esiste ancora.
Mi fa piacere quello che dici, perchè il progetto registico del film era questo. Io ho pensato fin da subito di accettare questa sfida – perchè non è semplicissimo fare un buon film con i tempi televisivi vigenti – per poter parlare anche del presente. Non ha alcun senso fare una ricostruzione di un fatto storico di questa natura, secondo me. È interessante – e c’è l’opportunità perchè è così nel cuore della storia – se noi parliamo dell’oggi. Ed è proprio per questo che io ho spinto molto per raccontare la storia attraverso il rapporto tra Pippo Fava e i carusi. E questo poi ha portato con sé anche delle scelte generali, cioè la fotografia del film, la musica, gli ambienti: tutto questo è stato pensato mescolando il passato con il presente, in modo tale che chi guarda il film non percepisce la distanza perchè quelle cose ci riguardano. E oggi ci riguardano molto di più di quanto noi possiamo immaginare. La lotta per la libertà di pensiero e per la libertà di stampa, e la libertà espressiva in generale che ha portato avanti Fava con i suoi ragazzi e le sue ragazze, è oggi più urgente che mai. Il giornalismo libero oggi è più necessario che mai. E quel modo di fare giornalismo che ti mette in pericolo, ma prima ancora di metterti in pericolo ti fa vivere nella più assoluta precarietà – queste persone non venivano pagate, se non in maniera molto episodica – oggi è tornato di estrema attualità. E noi ne abbiamo un estremo bisogno.
Dopo la messa in onda su RaiUno sono previste proiezioni atrove?
Il film innanzitutto passa su RaiUno, che è vista da milioni di persone, quindi spero che non scenda sotto il livello di guardia. Questo prevede il fatto che il film si continui a vedere, perchè se il film piace al pubblico resta sulle piattaforme della Rai e quindi è possibile vederlo gratuitamente. Poi verrà riproposto nel tempo, e questa per me è una garanzia molto importante per far vivere il film. Tieni presente che io il film l’ho pensato proprio in questi termini, l’ho pensato per i giovani, per i ragazzi. Noi sottovalutiamo la forza e l’energia dei ragazzi di oggi e penso che in quell’esperienza lì – l’esperienza di questi giovani straordinari che insieme a un mentore come è stato Pippo Fava hanno costruito il loro futuro e hanno trovato una strada per il loro futuro – penso che sia un racconto che possa continuare a vivere nel tempo.