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Blues per vittime innocenti. Omicidi di neri d’America

Conoscevo la paura della fame, dell’inferno e del diavolo. Ma adesso avevo scoperto una nuova paura: la paura di essere uccisa semplicemente perché ero nera. Questa era la più grande delle mie paure”: la citazione è tratta da Coming of Age in Mississippi, autobiografia della scrittrice afroamericana Anne Moody uscita nel 1968. La scoperta di questa nuova paura risale all’estate del 1955, quando nel Mississippi viene ucciso un ragazzino afroamericano, Emmett Till: un evento che sarà un trauma non solo per Anne Moody, ma per tantissimi, neri e bianchi.

Dopo la desegregazione delle forze armate completata nel ’54 e nello stesso anno la storica sentenza della Corte Suprema sull’incostituzionalità della segregazione nel campo dell’istruzione, la linea del Piave su cui il Sud razzista si attesta di fronte alle faticose conquiste degli afroamericani è la negazione del diritto di voto ai neri. E’ ormai anche il terreno di lotta più avanzato per gli afroamericani, Naacp in testa.

Alla metà degli anni cinquanta l’Associazione per il progresso della gente di colore è diventata un’organizzazione con un nutrito corpo militante profondamente radicato nella società, disciplinato, dinamico nel proselitismo e nella propaganda, pronto a fare sacrifici quando non a sacrificarsi per la causa.

L’acutizzazione della violenza contro i neri che si registra nel Sud degli States nel ’55 è una chiara reazione ai primi importanti successi degli afroamericani nella lotta contro la discriminazione. Proprio in risposta alla sentenza del ’54 della Corte Suprema, nel Sud nasce il White Citizens Councils, un network di organizzazioni di bianchi segregazionisti che agiscono sul piano dell’intimidazione e della violenza, ma anche su quello legale e su quelli economico e sociale, per impedire ai neri di accedere ai loro diritti, e che si concentra sulla questione del voto: una sezione locale si forma anche a Belzoni, un centro nel cuore del Delta del Missippi, dove tra pressioni, minacce, aggressioni, molti neri che si sono registrati per votare fanno marcia indietro. Ma non George Washington Lee.

manifesto black

Da un’infanzia estremamente disagiata, Lee è arrivato ad essere un apprezzato predicatore battista, e un commerciante e piccolo imprenditore di successo. Nel ’53 fonda assieme ad un altro negoziante nero la sezione locale della Naacp. Lee è il primo nero della sua contea a registrarsi per votare. Ma fa molto di più: nel ’55 riesce a registrare per il voto circa novanta neri, spesso pagando di tasca sua la tassa preliminare. E’ anche vicepresidente del Regional Council of Negro Leadership, una struttura di mutuo appoggio, che ha all’attivo il successo in una campagna di boicottaggio contro le stazioni di servizio che rifiutano di dotarsi – visto che anche le toilette sono segregate – di bagni per i neri. Nel maggio del ’55, di notte, mentre è alla guida, un’altra auto si affianca alla sua e dalla vettura partono tre colpi: con la mascella fracassata, Lee finisce fuori strada e muore poco dopo. Dalla bocca del cadavere viene estratto del materiale compatibile con proiettili di arma da fuoco. Ma il locale sceriffo sostiene che Lee è morto in un incidente stradale, e che quelle trovate in bocca alla vittima sono delle otturazioni dentarie. Non è una barzelletta: è il profondo sud degli Stati Uniti alla metà degli anni cinquanta.

In altri tempi tutto sarebbe filato liscio, e in effetti i responsabili dell’omicidio resteranno impuniti, ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Intanto la morte e il funerale di Lee non passano inosservati presso i neri. In questa attenzione gioca un ruolo significativo la decisione della vedova di far svolgere il funerale con la bara aperta, in modo che tutti possano vedere: l’importante quotidiano afroamericano Chicago Defender pubblica una foto di Lee sfigurato.

Il cadavere del reverendo George Lee accanto alla macchina su cui viaggiava
Il cadavere del reverendo George Lee accanto alla macchina su cui viaggiava

La Naacp organizza una cerimonia direttamente a Belzoni, qualcosa di sconvolgente per i bianchi di un piccolo centro del Mississippi profondo: parlano il presidente nazionale della Naacp e il Dottor Howard, uno dei neri più ricchi dello Stato e presidente del Regional Council of Negro Leadership. Ma irrituale è anche che non ci si accontenti della versione dello sceriffo. Medgar Evers, che come membro del Regional Council aveva contribuito all’azione di boicottaggio delle stazioni di servizio, e che nel ’54 era diventato coordinatore della Naacp per il Mississippi (sarà poi assassinato nel ’63), agita il caso, chiedendo indagini più approfondite, e fornendo elementi alla stampa. L’FBI individua dei probabili sospetti. Non si arriverà mai ad un’incriminazione: tuttavia nell’insieme quello che seguì all’omicidio di Lee costituì una importantissima prima volta.

Intanto l’ondata di violenza contro i neri nel Sud degli Stati Uniti proseguiva, con il Mississippi come epicentro. Tre mesi dopo Lee, nell’agosto, nel Mississippi viene assassinato un altro attivista per il diritto di voto, Lamar Smith, veterano della prima guerra mondiale. Viene abbattuto in pieno giorno: le indagini accertano che hanno assistito diversi testimoni bianchi, fra cui lo sceriffo, e che un uomo coperto di sangue è fuggito dalla scena del crimine. Vengono anche arrestati tre uomini, ma nessun testimone bianco vuole spingersi più oltre, e le accuse cadono.

Smith viene ucciso il 13 agosto: quindici giorni dopo si verifica l’omicidio più barbaro, quello di Emmett Till, quattordici anni. Nato nel ’41, cresciuto in due grandi città come Chicago e Detroit, Emmett vive nel South Side di Chicago, la parte nera della città: è un bambino piuttosto felice, simpatico con i coetanei, divertente, bravo con la mamma. E, dettaglio cruciale, non è un bambino pauroso. Una volta il secondo ex marito della madre si presenta a casa e la minaccia: Emmett prende un coltello da macellaio, e dice all’ex patrigno che lo avrebbe ammazzato se non se ne fosse andato. E’ anche un bambino cresciuto precocemente, alto, robusto, che fisicamente a quattordici anni appare già un adulto.

Il prozio Mose Wright, in visita a Chicago, racconta a Emmett storie sul Delta del Mississippi, che il ragazzino, affascinato, vuole andare a vedere con i propri occhi. Wright lo invita a Money, duecento abitanti, qualche negozio, una scuola, un ufficio postale, località piuttosto isolata nel Delta. Quando Emmett sta partendo, la mamma gli raccomanda di tenere ben presente che il Mississippi non è Chicago, e che deve stare molto attento a come comportarsi con i bianchi; il figlio le assicura che ha capito.

Un indice della modernità della Chicago afroamericana dell’epoca è il blues di Muddy Waters: lasciato il Mississippi dove è nato per cercare fortuna a Chicago, Waters nei primi anni quaranta, gli anni della prima infanzia di Emmett, si è installato in quel South Side che Emmett non vedrà mai più. Con brani come I I just want to make love to you, inciso per la Chess nel ’54, Waters comincia ad assumere un rilievo nazionale.

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Emmett arriva a Money il 21 agosto. Tre giorni dopo va a comprare delle gomme da masticare in un negozio gestito da un bianco, Roy Bryant, 24 anni, e sua moglie Carolyn, 21, che in quel momento è sola nella rivendita. Quello che succede dentro il negozio non è certo, e ci sono state versioni diverse: forse un fischio. Nella tragedia c’è un particolare patetico. Da bambino Emmett aveva contratto la poliomielite, che gli aveva lasciato in eredità un piccolo problema di balbuzie: a volte, per difficoltà a pronunciare delle parole, gli veniva fuori un fischio, che forse Carolyn ha equivocato. Carolyn, che aveva tutto l’interesse a far pesare il comportamento di Emmett, parlerà di avances. Comunque fossero andate le cose, non era avvenuto niente di particolarmente grave.

Emmett-Till
Emmett Till

Ma Carolyn Bryant ne parla con il marito, che assieme al fratellastro si reca alla casa dei parenti di Emmett: chiedono di lui, gli dicono di vestirsi e uscire, e – è sera – agli altri di andarsene a letto, e a Mose Wright che se parlerà lo uccideranno. Tre giorni dopo Emmett viene trovato cadavere in un fiume: il viso del ragazzo è orribilmente sfigurato.

Per capire che cosa è successo saltiamo in avanti: Bryant e il fratellastro saranno assolti, e, forti dell’assoluzione (e del Ne bis in idem della legislazione americana, la non processabilità una seconda volta per lo stesso reato), saranno così impudenti, solo un anno dopo, da rilasciare alla rivista Look una intervista, per cui vengono profumatamente pagati, in cui ammettono di avere ucciso Emmett e dichiarano che la loro intenzione era semplicemente quella di dargli una lezione, di spaventarlo. Ma c’era stato un imprevisto: Emmett non si era spaventato, e questa mancanza di paura, questo avere tenuto testa psicologicamente ai suoi sequestratori gli costa la vita. Malgrado le raccomandazioni della mamma, forse anche nel momento in cui viene preso da Bryant e compagnia Emmett non si rende conto di quanto grande sia il pericolo che sta correndo: bambino coraggioso, forse nel South Side di Chicago, non esattamente un posto da educande, ha sviluppato l’abitudine a fronteggiare delle situazioni un po’ rudi.

Dichiara alla rivista il fratellastro di Bryant, a proposito del fatto che il ragazzo non si era spaventato: “Beh, a quel punto, che cosa potevamo fare? Non aveva speranze. Non sono un bullo, non ho mai aggredito un negro in vita mia. Mi piacciono i negri – se stanno al loro posto – so come trattarli. Ma semplicemente ho deciso che era il momento che un po’ di gente si rendesse conto di come stavano le cose. Fin che camperò e sarò in grado di fare qualcosa, i negri dovranno stare al loro posto. Dove vivo io i negri non andranno a votare. Perché se lo facessero, controllerebbero il governo. Non andranno a scuola con i miei bambini. (…) Io e i miei abbiamo combattuto per questo paese, e abbiamo dei diritti. Ero lì che stavo ascoltando quel negro che rompeva le scatole, e questo mi faceva impazzire. ‘Ragazzino di Chicago’, gli ho detto, ‘sono stanco che vi mandino qui giù a fare casino. Porca puttana, ti darò una lezione, giusto per far sapere a tutti chi siamo io e i miei’ ”. E’ significativo il fatto che l’assassino dica che Emmett parlava. Il confronto, tragico, è tra Emmett, che non ha paura, e i suoi assassini bianchi, che, loro sì, iniziano ad avere paura: dei neri che stanno alzando la testa.

Come la vedova di Lee, anche la madre di Emmett Till pretende che il funerale si svolga con la bara aperta. Decine di migliaia di persone rendono omaggio alla salma. Il Chicago Defender e altri giornali pubblicano la foto del cadavere di Emmett. Insostenibilii, le immagini circolano ampiamente e provocano una intensa emozione: il volto di Emmett, ricomposto per il funerale, di primo acchito non sembra la faccia di un essere umano, sembra una maschera di cartapesta, una grottesca maschera di carnevale.

Sulla morte di Emmett Till inizia una grande guerriglia mediatica, comunicativa, fra giornali locali e nazionali, autorità del Mississippi e di Chicago, opinion leaders, una guerriglia che porta a grossi spostamenti di settori dell’opinione pubblica.

E già nella seconda metà del ’55 escono due diverse canzoni dedicate alla storia del povero ragazzo arrivato da Chicago nel profondo Sud: una, The Death of Emmett Till, è interpretata dal gruppo vocale The Ramparts.

Clicca qui per ascoltare il disco dei The Rampants

http://www.authentichistory.com/1946-1960/8-civilrights/1954-1960/19550000_The_Death_of_Emmett_Till_part_1-The_Ramparts.html

http://www.authentichistory.com/1946-1960/8-civilrights/1954-1960/19550000_The_Death_of_Emmett_Till_part_1-The_Ramparts.html

  • Autore articolo
    Marcello Lorrai
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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