Dopo i Rohingya, i Kachin, dalla parte opposta di Myanmar. È in corso un’escalation di combattimenti negli stati Shan e Kachin dell’ex Birmania, al confine con la Cina, dove da anni si fronteggiano l’esercito regolare birmano e il Kachin Independence Army (Kia), l’esercito indipendentista della popolazione Kachin, una minoranza etnica cristiana, soprattutto protestante, che però ha anche una componente cattolica al suo interno.
Il conflitto tra il Kia – che si è dato anche forma politica nel Kachin Independence Organisation (Kio) – e lo stato centrale birmano dura praticamente dalla fine dell’occupazione britannica nel 1947 e la minoranza etnica non partecipa ai colloqui di pace che vedono coinvolte altre minoranze.
I Kachin chiedono una forte autonomia in un assetto federale, mentre il governo, prima quello militare poi quello cosiddetto democratico, vuole che il Kia prima ceda le armi e poi se mai si discute. Nell’ottica del potere centrale, i combattenti Kachin dovrebbero poi diventare una specie di guardia di frontiera controllata dall’esercito regolare, il tatmadaw.
Dopo un armistizio durato 17 anni, il conflitto era ripreso nel 2011, da allora è in corso una guerra di posizione a bassa intensità che però ha provocato già circa 300mila profughi disseminati in diversi campi sia nella zona controllata dalle autorità sia in quella controllata dai Kachin. Il Kia conserva una striscia di terra appiattita lungo il confine cinese e due città principali, Laiza e Myitkyina. I suoi avamposti nella foresta ogni tanto vengono attaccati dall’esercito regolare, poi in genere vengono rioccupati quando l’esercito se ne va.
A farne le spese sono soprattutto i civili, in genere contadini, che subiscono violenze e torture, i cui villaggi vengono bruciati e rasi al suolo, da qui l’ondata di profughi che si concentrano in campi che ormai sono quasi delle cittadine semi permanenti. Difficile comprendere a cosa è dovuta l’attuale escalation, si parla di bombardamenti e uso di artiglieria pesante da parte dell’esercito.
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