A inizio gennaio è uscito nelle sale cinematografiche Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott: se n’è parlato così tanto per motivi estranei al contenuto del film – e cioè per la dispendiosa decisione di sostituire Kevin Spacey con Christopher Plummer, rigirando in fretta tutte le sequenze necessarie – che potrebbe passare in secondo piano una notevole coincidenza. E cioè che, a distanza di pochi mesi, la produzione audiovisiva statunitense torna a raccontare un’altra volta la stessa storia: arriva infatti su Sky Atlantic la serie televisiva Trust che, proprio come Tutti i soldi del mondo, rimette in scena il rapimento, avvenuto in Italia negli anni 70 a opera della ‘ndrangheta, di John Paul Getty III, rampollo e possibile erede del petroliere J. Paul Getty, ovvero l’uomo più ricco della terra, almeno all’epoca.
Per molti aspetti, film e serie sembrano rincorrersi e specchiarsi l’uno nell’altra: anche dietro la macchina da presa di Trust c’è un noto regista cinematografico inglese, il Danny Boyle di Trainspotting e The Millionaire. E anche la serie sfoggia un cast hollywoodiano: con la due volte premio Oscar Hilary Swank, un redivivo Brendan Fraser nella prova migliore della sua carriera e soprattutto con il patriarca, il magnate del petrolio apparentemente senza cuore, qui interpretato dal grande Donald Sutherland. E pure la serie Trust ha ampie porzioni girate in Italia, con la regia di un intero episodio affidata a un bravo autore del nostro cinema, Emanuele Crialese (la firma di Respiro, Nuovomondo e Terraferma), e la presenza tra gli attori dell’ottimo Luca Marinelli, di Giuseppe Battiston e di Andrea Arcangeli.
La sceneggiatura – scritta da Simon Beaufoy, che con Boyle ha già collaborato in The Millionaire e 127 ore – ha fatto imbufalire gli eredi Getty, perché si prenderebbe eccessive licenze poetiche e, per di più, ipotizzerebbe una complicità della famiglia nel rapimento. Vero è che il cuore pulsante della narrazione è il vecchio, spietato e gretto Getty, emblema di un capitalismo feroce e crudele, come uno Scrooge non redento di Racconto di Natale, come una versione ancor più meschina del Charles Foster Kane di Quarto potere e ancor più bizzarra del vero Howard Hughes: vive immerso nel lusso più sfrenato e oltraggioso, ma è tirchio fino all’ultimo penny, inquina ogni rapporto umano circostante, e d’altronde non c’è chi non si accosti a lui perché interessato al suo denaro.
Danny Boyle e il suo gruppo di sceneggiatori pensano a una serie di almeno cinque stagioni che ripercorra attraverso la saga dei Getty oltre un secolo di storia a stelle e strisce. E d’altra parte quella del titano d’industria è una figura centrale dell’immaginario statunitense: se glorificarla come incarnazione dei valori imprenditoriali su cui si è costruita l’America o detestarla come simbolo di un’avidità irrefrenabile che tutto logora e consuma dipende dallo spirito dei tempi. E considerato chi siede oggi alla Casa bianca, forse questo continuo tornare sulle vicende dei Getty non suona più così casuale.