Le dimissioni al rallenty di Renzi stanno cominciando a provocare un terremoto dentro al partito, più di quanto abbia causato la scissione.
Il congresso sarà lontano, si farà dopo la formazione del governo, ma si affilano intanto le armi per affrontare passaggi delicati e importanti sui quali vorrebbero avere voce.
Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, il giorno dopo la sconfitta e soprattutto dopo le parole di Matteo Renzi, si è iscritto al Partito democratico. “Non bisogna fare un altro partito ma lavorare per risollevare quello che c’è”, ha twittato. E ha immediatamente ricevuto ringraziamenti e applausi da molti big del partito, per esempio da Gentiloni, che ha digerito malissimo le velate critiche di Renzi nei suoi confronti. Il segretario dimissionario ha dato la colpa a molti della sconfitta, e non a se stesso, ha puntato il dito contro Mattarella per non aver consentito di tornare a votare l’anno scorso, e a Gentiloni per aver espresso una qualche vocazione all’inciucio e alle larghe intese. C’è il gelo tra i due più di quanto ci sia stato finora.
E Calenda, che non ha voluto candidarsi, ma ha fatto una campagna elettorale da fuori, oggi si iscrive denunciando gli errori fatti in questi mesi, si è parlato solo alle élite dice.
Inizia l’isolamento di Renzi dentro al Pd, perché non ha voluto lasciare subito e perché si è arroccato sulla linea di una chiusura al confronto con i Cinque stelle in vista delle presidenze delle Camere e del governo.
Non solo da parte della minoranza, ma i ringraziamenti a Calenda arrivano da parte di esponenti vicini a Renzi come Martina, Richetti e Finocchiaro e questo fa capire che è iniziata una resa dei conti dentro al Pd contro Renzi, il quale nel suo solito tono ha detto che alle consultazioni non ci sarà perché andrà a sciare.