Un giocatore a tutto campo, talvolta un po’ troppo fuori dagli schemi. A questo profilo, per usare un linguaggio che gli compete, corrisponde Vitaly Leontiyevich Mutko, ministro dello Sport del governo Putin.
Nelle ultime settimane il suo nome è ovunque, talvolta in posizione di difesa e più spesso al contrattacco. Cinquantasettenne, ha un posto nell’esecutivo dal 2008 e grande abilità nell’accumulare cariche. Mutko è stato presidente dello Zenit San Pietroburgo, club di prima fascia in Russia, dal 1997 al 2003. Fu il suo trampolino di lancio verso la politica.
La sua ultima trovata risale a pochi giorni fa. “I club russi non potranno acquistare calciatori turchi nel mercato di gennaio – ha detto -. Chi ha un contratto in essere potrà continuare a lavorare”.
Un divieto che è conseguenza dell’abbattimento del caccia Sukhoi 24 nello spazio aereo turco al confine con la Siria. La linea dura nei confronti di Ankara, riflesso di una diplomazia interrotta all’istante dal grande capo del Cremlino, era stata inaugurata ancor prima, quando lo stesso Mutko aveva imposto lo stop ai ritiri invernali dei club russi lungo le coste del Sud della Turchia.
Durante le lunghe pause gelate è ormai da alcuni anni una tradizione che le principali squadre di Mosca e delle altre città trascorrano settimane nel Paese della mezzaluna, per godere delle temperature ottimali e proseguire negli allenamenti. Una moda che lo scorso febbraio era costata una disavventura all’allora ct Fabio Capello che, come riportò il quotidiano Hurriyet, passò cinque giorni confinato in una lussuosa camera d’albergo di Antalya per la concomitante presenza nella struttura di una convention di oltre mille venditori di cosmetici. Non capiterà più, perché ora i soggiorni sono interrotti. Messaggio subito recepito dal Rostov, seconda forza del torneo, da Kuban, Krasnodar e Terek, che hanno già disdetto ogni prenotazione.
Ma Vitaly Mutko non si limita a queste ripicche. Da quasi quindici anni, seduto su varie poltrone, guida la federazione calcistica russa. Oggi presiede anche il comitato organizzatore dei Mondiali 2018, a sancire una volta di più l’abbraccio indissolubile tra sport e politica a quelle latitudini.
Mutko, che ha di recente fatto repulisti ai vertici degli staff organizzativi, si trova a gestire una situazione non semplice. I lavori per la costruzione dei 12 stadi che ospiteranno la competizione procedono a rilento per via della crisi che, complici le sanzioni internazionali, ha fiaccato l’economia nazionale. La federcalcio russa è indebitata per oltre 30 milioni di dollari e negli scorsi mesi ha mostrato tutte le sue difficoltà, quando lo stesso Capello ha denunciato di essere rimasto per mesi senza stipendio.
Ecco allora che, ancora una volta, il capitalismo oligarchico russo è andato incontro a Mutko, con la disponibilità di Novatek, seconda compagnia di gas del Paese, a sponsorizzare l’evento previsto tra due anni e mezzo.
Tutto questo senza dimenticare le accuse di corruzione alla Russia e allo stesso uomo di governo. Tra i capitoli del Fifagate c’è anche quello relativo all’assegnazione della Coppa a Mosca che, come parrebbe prassi degli ultimi anni, sarebbe avvenuta dietro a trattative per nulla lecite tra le federazioni. Ora Inghilterra e il tandem Belgio-Olanda, che avevano presentato le loro candidature per l’evento, hanno annunciato un maxi ricorso. Ma Mutko, che per non farsi mancare nulla è anche membro del comitato esecutivo della Fifa ed è stato figura di primo piano alle Olimpiadi di Sochi 2012, continua a rispondere in modo fermo e rilanciare le accuse di corruzione in campo avversario.
Tutte queste appaiono però questioni minori in confronto allo scandalo che ha travolto lo sport russo, dopo che l’ex numero uno della Wada Dick Pound ha accusato Mosca di aver praticato doping di stato per anni nell’atletica leggera. In questo caso la strategia di Vitaly Mutko, chiamato in causa per via diretta per aver coperto se non orchestrato gli illeciti, è stata finora diversa: basso profilo e ammissioni di colpevolezza, nella speranza di ottenere il pass per Rio 2016 negato dalla Iaaf agli atleti russi. Un po’ di carota dopo tante bastonate.