Eletto al primo turno, Roch Marc Christian Kaborè è il presidente del Burkina Faso. La vittoria di Kaboré è stata riconosciuta dai suoi principali avversari e ora gli spetta il compito di traghettare sulla via della democrazia e dello sviluppo un paese segnato da una storia fatta di colpi di Stato.
Adesso le legislative, a turno unico e su base proporzionale, saranno determinanti per capire quale sarà la maggioranza del presidente eletto. Su questo, purtroppo, pesa l’incognita del Congresso per la democrazia e il progresso (Cdp), cioè il vecchio partito del presidente Blaise Campaoré, cacciato dai moti di piazza e attualmente in esilio in Costa d’Avorio.
Il Cdp, che non ha potuto presentare un suo candidato per le presidenziali in virtù di una nuova legge, ha, tuttavia, potuto fare campagna elettorale per le legislative e presentare i suoi candidati. Essendo ben radicato nelle campagne, secondo gli analisti potrebbe ottenere un buon risultato.
Eletto con 53,49 per cento dei suffragi contro il 30 per cento del suo principale avversario Zephirin Diabré, Kaboré, anziano barone del sistema passato all’opposizione con un tempismo perfetto, dieci mesi prima della cacciata di Campaorè, ha inviato i burkinabè a “mettersi immediatamente al lavoro. Tutti insieme dobbiamo servire il Paese”.
Le elezioni in Burkinbua, al di là del risultato, sono comunque un successo. Innanzi tutto si sono tenute nell’ordine, con una buona partecipazione e senza i candidati del vecchio dinosauto presidente. In secondo luogo Kaborè, l’eletto, è un cristiano. E viene eletto in un Paese la cui popolazione è a maggioranza musulmana. Di questi tempi è un segno di una valenza simbolica molto forte. L’Africa e il Burkina Faso dimostrano che gli uomini non si dividono sulla religione e che questa non c’entra nulla con la politica. Altro che guerra di religione.