Approfondimenti

Myanmar, i traffici che arricchiscono il regime

Sembra sceso il silenzio sullo smottamento che il 21 novembre ha investito a Hpakant, nel Myanmar settentrionale, una tendopoli improvvisata. L’agglomerato era sorto sulle pendici di un enorme cumulo di detriti, provenienti dalle vicine miniere di giada. Forse duecento i morti, una frazione delle migliaia di disperati che, oltre a essere impegnati legalmente in attività comunque a alto rischio e bassa remunerazione nelle miniere, cercano tra il materiale di scarto delle miniere un pezzo di giada che possa cambiare la loro vita.

Il crollo, eccezionale per numero di vittime, ha evidenziato una situazione tutt’altro che infrequente, in una regione dello Stato Kachin non solo devastata dal conflitto tra milizia etnica e truppe regolari, ma ancor più dalle attività estrattive che hanno ridotto Hpakant a una landa desolata, funestata da frequenti crolli e smottamenti, con un elevato numero di vittime.

La regione, che si trova all’estremo Nord del paese, è da lungo tempo al centro dell’estrazione di giada, una materia la cui produzione e smercio è nelle mani dei militari, nonostante l’avvio di un processo democratico che sta gradualmente erodendo la presa dei generali sul Paese dopo sessant’anni di regime militare. In un certo senso, uno spaccato della realtà del Myanmar dietro la facciata di democratizzazione e affermazione dello stato di diritto degli ultimi anni. Con un benessere comunque ancora lontano per molti.

Si calcola che il valore della giada, avviata in particolare verso l’immenso mercato cinese, abbia raggiunto lo scorso anno i 31 miliardi di dollari, cifra equivalente a metà del Prodotto interno lordo birmano. Con un traffico legale del valore di soli 3,4 miliardi di dollari nel 2014. Il resto è affluito in un mercato nero che include anche l’estrazione di altri minerari preziosi, tra cui i rubini e zaffiri e che continua a perpetuare il potere militare su ampie aree del Paese e settori della sua economia, ma che lascia alla popolazione – come quella di Hpakant, dove decessi per malattia, uso di stupefacenti e violenza sono assai elevati – non solo ben poco in termini di benessere ma con gravi conseguenza in termini ecologici e sociali. Una situazione destinata a durare perché profondamente radicata.

Sino alla caduta formale del regime militare successivamente al voto del novembre 2010, quello politico e strategico (ovvero forza delle armi e sostegno di Cina, Corea del Nord e in misura decrescente Russia) era uno dei due puntelli del regime. L’altro era il fiume di denaro che affluiva nelle casse della giunta, nelle tasche dei generali e lasciava a una popolazione passata in 47 anni dal benessere alla disperazione solo le briciole. Miliardi di dollari che arrivavano (e arrivano) dalle frequentatissime aste di pietre preziose che aggiravano un tempo l’embargo internazionale e ora le dogane e le autorità di controllo. Cifre immense che arrivano anche dalla vendita del legname pregiato, dal controllo della produzione e del traffico di oppio e di droghe sintetiche che inondano il mercato mondiale e anche dal traffico di armi.

Oggi il Myanmar resta il primo produttore mondiale di rubini e di giada (guarda caso, la confinante Thailandia è primo esportatore dei primi e la Cina popolare della seconda), ma la vera manna per i generali e per i loro compagni di affari, in attesa che a beneficiarne siano i birmani tutti, sono i giacimenti di petrolio e gas, in buona parte ancora inutilizzati. Una ricchezza vera e concreta che potrebbe sostenere lo sviluppo del paese e sostituirne altre ormai quasi azzerate da uno sfruttamento predatorio a favore di vicini a volte accondiscendenti, a volte prepotenti. Una ricchezza che per essere sfruttata richiede interventi stranieri e massicci investimenti. Controversi, soprattutto quando provengono da aziende con origine o sede in paesi che sbandierano democrazia e che hanno partecipato e che hanno imposto nel tempo sanzioni sul regime.

Gli impianti per l’estrazione di gas dalle piattaforme di Yadana, al largo della costa birmana nel Mare delle Andamane, dovevano essere, per la propaganda del regime e per la pubblicità di due tra le maggiori aziende petrolifere mondiali, al centro dello sviluppo del Mynmar ed avere un impatto essenziali e positivo sulla vita delle popolazioni. Sono invece diventati un fiume di denaro sporco riversatosi nelle tasche dei generali e un incubo per le ricadute negative sui villaggi costieri prospicienti le piattaforme e sulle aree attraversate dai gasdotti.

Total è stato il maggiore investitore nel progetto Yadana, di cui detiene una quota del 31,24 per cento, dalla sua ideazione nel 1992. Chevron ha il 28%, con il rimanente 40% controllato dal governo birmano e da investitori minori.

Oggi la situazione sta evolvendo, anche nel senso di una maggiore autonomia decisionale e gestionale. Una miccia accesa anche sotto i vecchi poteri in divisa: sotto accusa, infatti, è anche la mancanza di trasparenza nei contratti che concedono alle compagnie straniere ampi poteri senza sostanziale controllo da parte della popolazione locale. Ad esempio, i birmani fanno sentire in modo crescente voci di dissenso verso un rapporto preferenziale con la Repubblica popolare cinese, accusata di pochi scrupoli ambientali e sociali nelle sue attività nel Paese. Si moltiplicano le accuse di sfruttamento incontrollato delle risorse naturali locali, a partire dal legname e dai minerali, ma anche dell’energia idroelettrica prodotta con colossali impianti, sovente in aree abitate dalle minoranze.

Dopo la sospensione dei lavori della diga di Myitsone già avanzati sul medio corso dell’Irrawaddy, le miniere affidate alla gestione cinese sono al centro di controversie, soprattutto sull’esproprio di terreni, danni ambientali e mancati indennizzi alla popolazione locale.

  • Autore articolo
    Stefano Vecchia
ARTICOLI CORRELATITutti gli articoli
POTREBBE PIACERTI ANCHETutte le trasmissioni

Adesso in diretta

  • Ascolta la diretta

Ultimo giornale Radio

  • PlayStop

    Giornale Radio lunedì 23/12 12:30

    Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi. Tutto questo nelle tre edizioni principali del notiziario di Radio Popolare, al mattino, a metà giornata e alla sera.

    Giornale Radio - 23-12-2024

Ultimo giornale Radio in breve

  • PlayStop

    Gr in breve lunedì 23/12 10:30

    Edizione breve del notiziario di Radio Popolare. Le notizie. I protagonisti. Le opinioni. Le analisi.

    Giornale Radio in breve - 23-12-2024

Ultima Rassegna stampa

  • PlayStop

    Rassegna stampa di lunedì 23/12/2024

    La rassegna stampa di Popolare Network non si limita ad una carrellata sulle prime pagine dei principali quotidiani italiani: entra in profondità, scova notizie curiose, evidenzia punti di vista differenti e scopre strane analogie tra giornali che dovrebbero pensarla diversamente.

    Rassegna stampa - 23-12-2024

Ultimo Metroregione

  • PlayStop

    Metroregione di venerdì 20/12/2024 delle 19:49

    Metroregione è il notiziario regionale di Radio Popolare. Racconta le notizie che arrivano dal territorio della Lombardia, con particolare attenzione ai fatti che riguardano la politica locale, le lotte sindacali e le questioni che riguardano i nuovi cittadini. Da Milano agli altri capoluoghi di provincia lombardi, senza dimenticare i comuni più piccoli, da dove possono arrivare storie esemplificative dei cambiamenti della nostra società.

    Metroregione - 20-12-2024

Ultimi Podcasts

  • PlayStop

    Milano, aggressione omofoba in Barona

    Insultato e pestato per il solo fatto di essere stato visto in strada mano nella mano col suo compagno. È successo sabato sera, intorno a mezzanotte, a Milano, quartiere Barona. Ivano Cipollaro è finito all’ospedale per i pugni ricevuti. Uscito, ha denunciato l’aggressione. Lo abbiamo sentito nella puntata di Radiosveglia del 23 dicembre.

    Clip - 23-12-2024

  • PlayStop

    Cult di lunedì 23/12/2024

    Cult è condotto da Ira Rubini e realizzato dalla redazione culturale di Radio Popolare. Cult è cinema, arti visive, musica, teatro, letteratura, filosofia, sociologia, comunicazione, danza, fumetti e graphic-novels… e molto altro! Cult è in onda dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 11.30. La sigla di Cult è “Two Dots” di Lusine. CHIAMA IN DIRETTA: 02.33.001.001

    Cult - 23-12-2024

  • PlayStop

    La conversazione: Manuela Ulivi

    Andrea Monti e Manuela Ulivi

    La conversazione - 23-12-2024

  • PlayStop

    Guerra nucleare: le novità

    Come si stanno preparando le nostre istituzioni per le emergenze radiologiche nucleari e cosa ci comunicano? Le novità dell'ultimo periodo, tra informazioni fuorvianti e business.

    37 e 2 - 23-12-2024

  • PlayStop

    Invalidità civile e previdenziale: settima puntata

    Oggi la nostra rubrica dedicata all'invalidità civile e previdenziale affronta un tema specifico: la legge 104. Ne parliamo sia per quanto riguarda gli adulti che i minori, come sempre con tanti esempi pratici e consigli utili.

    37 e 2 - 23-12-2024

  • PlayStop

    Speciale USA dalla crisi di Bden al ritorno di Trump - 23/12/2024 - ore 10:00

    a cura di Roberto Festa

    Gli speciali - 23-12-2024

  • PlayStop

    Radiosveglia di lunedì 23/12/2024

    Radiosveglia è il nostro “contenitore” per l’informazione della mattina. Dalle 7.45 alle 10, i fatti del giorno, (interviste, commenti, servizi), la rassegna stampa, il microfono aperto, i temi d’attualità. E naturalmente la musica. Ogni settimana in onda uno dei giornalisti della nostra redazione

    Radiosveglia – Prima parte - 23-12-2024

  • PlayStop

    Apertura Musicale di lunedì 23/12/2024

    In conduzione Francesco Tragni. Abbiamo parlato del "libraio dei detenuti", di che cosa fare a Milano nei giorni di festa e degli ascolti musicali sulle piattaforme di streaming nel corso del 2024.

    Apertura musicale - 23-12-2024

Adesso in diretta