Timore di disordini sociali, timore del caos. Così, le autorità finanziarie cinesi stanno compiendo un grande giro di vite sulle criptovalute, il bitcoin e le sue molte sorelle, quelle monete virtuali che non nascono da una zecca, bensì da complicati calcoli informatici che dovrebbero garantirne una circolazione libera sia dal controllo delle banche sia da quello dello Stato.
Pechino ha prima chiuso le piattaforme online cinesi su cui avvenivano gli scambi di criptovalute e adesso cerca di reprimere i cinesi che si servono di piattaforme straniere. Così come qualche anno fa la frenesia dei piccoli investitori in Borsa aveva destabilizzato i mercati, ora la febbre da criptovalute rischia di attirare speculazione e sistemi piramidali in patria.
Sabato, una folla inferocita di investitori ha trascinato tale Jiang Jie all’ufficio finanziario della municipalità di Pechino. Accusavano Jiang di truffa perché l’uomo aveva lanciato una ICO (Initial Coin Offering) di una moneta virtuale il cui valore era immediatamente precipitato da 0,66 a 0,13 yuan. In Cina funziona così, ogni merce diventa oggetto di speculazione, figuriamoci le criptovalute, ma il rischio non è previsto, se finisce male c’è sempre qualcuno che in un modo o nell’altro ti deve rimborsare.
Pechino ha vietato gli scambi di ICO e criptovalute a settembre. Due settimane fa, la PBOC ha ordinato alle istituzioni finanziarie di interrompere i finanziamenti a qualsiasi attività relativa alle criptovalute, stringendo ulteriormente il cappio.
Ma gli scambi tra privati sono continuati in un’area torbida: diversi uomini d’affari si sono trasferiti a Hong Kong, Singapore o Giappone dove fanno da collettori dei fondi che arrivano dalla Cina continentale. Oppure, i cinesi accedono direttamente agli scambi offshore aggirando i blocchi informatici con una VPN, Virtual Private Network, lo stesso modo con cui dalla Cina si accede a siti proibiti come Twitter e Facebook.
Ma se i social occidentali interessano a pochi, il denaro facile interessa a tantissimi, ecco quindi che il governo cinese fa bene intendere che sarà punito non solo chi scambia criptovalute in patria, ma anche chi cerca di accedere alle piattaforme straniere.
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