«Oprah Winfrey riceverà il Cecil B. DeMille Award questa sera: quale onore per Cecil B. DeMille!». La battuta con cui Seth Meyers, il presentatore della 75esima edizione dei Golden Globe, scherza a inizio serata sul premio alla carriera di quest’anno è appropriata: Oprah Winfrey suscita venerazione, come un’imperatrice, e la prova più evidente è la reazione sinceramente emozionata di molte star che, salendo sul palco per ritirare il loro premio e vedendosela seduta in prima fila, non riescono a trattenersi dal gridare «Oprah!», come un fan qualunque.
I premi assegnati dalla stampa straniera a Hollywood quest’anno sono evidentemente un affare che va oltre lo showbusiness: quasi ogni star – indipendentemente dal genere – è vestita di nero, in solidarietà alle vittime di abusi (e in particolare all’iniziativa Time’s Up, che 330 donne dello spettacolo hanno messo in piedi per combattere le molestie in ogni luogo di lavoro); tra i premi televisivi trionfano, come già agli Emmy, Big Little Lies e The Handmaid’s Tale, cui si aggiunge la commedia, anch’essa femminile, La fantastica signora Maisel; e i discorsi d’accettazione sono tutti in risonanza con l’attualità («Non viviamo più ai margini delle pagine, nei vuoti tra le storie: noi siamo le storie» dice Elisabeth Moss; «Insegniamo ai nostri bambini che parlare senza paura è la nostra nuova stella polare» fa eco Laura Dern), compresa la stoccata di Natalie Portman sul fatto che tutti i registi candidati siano comunque maschi.
E poi sale sul palco lei, Oprah, “la regina dei media”, secondo molti addirittura “la donna più influente del mondo”. Oggi è la persona afroamericana più ricca d’America, possiede una casa di produzione e un suo network tv: nata povera, da una madre single, nelle profondità del Mississippi, cresciuta nella periferia nera di Milwaukee, essa stessa vittima di molestie da ragazzina, durante le superiori trova un lavoro alla radio, a 19 anni co-presenta le news in una tv locale, poi passa a condurre talk show pomeridiani su una rete di Chicago e, nel 1986, debutta in diretta nazionale con il suo Oprah Winfrey Show, che andrà in onda fino al 2011. «Nel 1964 ero una ragazzina seduta su un pavimento di linoleum che guardava alla tv Sidney Poitier, il primo nero a vincere l’Oscar: ho provato molte volte a spiegare cosa possa significare un momento così per un bambino, e non mi sfugge che ora molte ragazze stanno guardando me, la prima donna nera a ricevere un Globe alla carriera» esordisce.
Insiste sulla libertà di stampa, ricorda Recy Taylor (che nel ’44 venne stuprata da sei bianchi e non ottenne mai giustizia) e Rosa Parks. «Quello che so è che raccontare la propria storia è lo strumento più potente che abbiamo» sottolinea, implicitamente rispondendo anche alle critiche sulla sua televisione confessionale e profondamente emotiva.
Il pubblico le tributa tre standing ovation, l’ultima quando dice: «Un nuovo giorno è all’orizzonte!», l’inizio di un tempo in cui nessuno dovrà più dire #MeToo. A inizio serata, Meyers scherzava su una sua possibile candidatura alla presidenza nel 2020: forse, più che una battuta, era una previsione?
Alice Cucchetti, Film TV