La crisi di questi ultimi mesi ha polarizzato la società non solo in Catalogna, ma anche in Spagna. Negli ultimi mesi molti, quasi tutti, hanno preso posizione. A favore o contro l’indipendenza. Con il governo spagnolo o con i secessionisti catalani. Con la costituzione e il commissariamento dell’autonomia, oppure con il diritto a decidere rivendicato da Barcellona. È stata come in una partita di calcio, o si stava da una parte o si stava dall’altra.
Le elezioni di oggi sono in buona parte proprio lo scontro tra questi due blocchi, quello indipendentista e quello unionista, alcuni direbbero quello nazionalista (termine che secondo noi non descrive alla perfezione il movimento per la secessione della Catalogna) e quello costituzionalista. La cosa più importante, quella che tutti dovremo guardare questa sera, sarà da una parte la somma dei voti dei partiti che meno di due mesi fa appoggiarono la proclamazione d’indipendenza e dall’altra quella dei partiti che difendono invece lo status quo. All’interno dei due blocchi ci sono differenze e interessi che vanno ben oltre il futuro della Catalogna e si proiettano a livello nazionale. Basta citare che gli indipendentisti non si presentano uniti, oppure che il Partito Popolare al governo a Madrid sarà tra i partiti meno votati. Ma le divisioni politiche interne ci fanno perdere di vista la cosa al momento più importante, la contrapposizione tra i due blocchi.
La polarizzazione è tale e la spaccatura è così profonda che potrebbe non esserci una maggioranza chiara. Secondo la maggior parte dei sondaggi è altamente probabile che sia così. In questo caso potrebbe diventare importante chi sta nel mezzo. Chi in questa crisi non si è schierato e ha sempre auspicato una soluzione dialogata e di compromesso, che vada oltre l’indipendenza o il commissariamento della Catalogna. Dal punto di vista politico parliamo di Podemos, del suo alleato catalano En Comú Podem (la formazione della sindaca di Barcellona Ada Colau), di alcune formazioni minori, e di alcuni esponenti del Partito Socialista Catalano, che non è sempre la stessa cosa del PSOE.
A sostenere questa soluzione dialogata, estremamente difficile, possiamo dire quasi impossibile al momento, c’è però anche una parte della società catalana. In questi giorni, alla ricerca di un luogo che potesse rappresentare l’incredibile complessità della Catalogna e la sue tante contraddizioni, siamo finiti a Sant Vicenç dels Horts, nell’area metropolitana di Barcellona. Quasi 30mila abitanti e una popolazione estremamente eterogenea. Il risultato dello sviluppo economico di questa regione negli ultimi decenni. Quindi cittadini stranieri e persone dal resto della Spagna. Sant Vicenç dels Horts è anche la città di Oriol Junqueras, l’ex-vicepresidente o il vice-presidente catalano attualmente in carcere a Madrid. Nonostante la storia di Junqueras, nonostante il suo arresto e nonostante la sua grande popolarità, che va oltre le posizioni politiche, a Sant Vicenç dels Horts molti ci hanno detto che l’indipendenza non è la loro priorità. Anche per chi si sente più catalano che spagnolo. Anche per chi non ha alcuna simpatia per la monarchia e per Mariano Rajoy.
Si tratta di prese di posizione importanti, che in qualche modo formano quella che possiamo definire la zona grigia della crisi catalana. È quasi tutto bianco o nero, ma non proprio per tutti.
Oggi non possiamo dimenticare il deficit democratico della Spagna. In un importante paese europeo ci sono elezioni con candidati in carcere oppure in esilio all’estero per le loro idee politiche. Questo è molto grave. Il partito di governo, il Partito Popolare, è sommerso dai casi di corruzione, ma nessuno dei suoi esponenti è finito in carcere come misura preventiva. La distanza tra Madrid e Barcellona sta anche in questo. Ma lo strappo che i leader indipendentisti hanno promosso in questi anni non ha conquistato proprio tutti. E la soluzione, magari tra molto tempo, potrebbe passare proprio da chi non si è schierato, o da chi ha una posizione molto più sfumata rispetto ai due blocchi contrapposti.