L’estradizione in Italia di Maurizio Tramonte applica e chiude la sentenza definitiva sulla strage di Brescia. L’altro condannato, l’83enne fascista di ordine nuovo Carlo Maria Maggi, sta già scontando l’ergastolo ai domiciliari, come di diritto dalle sue condizioni di salute.
Il tentativo maldestro di fuga di Tramonte ha solo allungato i tempi: il suo allontanamento poco prima del verdetto della cassazione il 20 giugno, la fuga in macchina verso il Portogallo, è durata poco: Tramonte era tenuto sotto controllo dai servizi.
La sua è una figura chiave: la “fonte tritone” è il collegamento tra Stato e neofascisti. Se a Maggi è riconosciuto il ruolo organizzativo e di direzione dell’attentato, Tramonte ha partecipato alle riunioni preparatorie – di cui dava conto ai servizi segreti come referente – e aveva offerto la sua disponibilità a piazzare la bomba.
“Giustizia e non vendetta”, ha sempre ripetuto il presidente dell’associazione dei familiari Manlio Milani, che auspicava il ritorno in Italia di Tramonte, l’esecuzione della pena e degli eventuali benefici come da stato di diritto.
In anni di processi Tramonte si è più volte contraddetto ed è tornato sui suoi passi. Non gli ha evitato la condanna. Ma Milani si dice ancora disponibile a incontrarlo e ad aprire un dialogo. “Il suo rientro segna la fine della prima parte della vicenda di piazza Loggia”, sottolinea Milani, riferendosi alle altre due inchieste aperte alla procura di Brescia e dei minori, volte a individuare i mandanti della strage.