
“Contro lo strapotere delle multinazionali del farmaco occorre la ricerca indipendente, sostenuta dai governi e dagli investimenti pubblici. Questa la vera sfida”.
A parlare è Giuseppe Remuzzi, medico-scienziato tra i più noti a livello internazionale.
E’ l’unico italiano a essere membro del Comitato di Redazione di The Lancet, una delle riviste mediche piu autorevoli nel mondo.
Lo intervistiamo a quarantott’ore ore dall’annuncio della più grande fusione del settore farmaceutico: quella tra la società americana Pfizer e l’ irlandese Allergan.
Un accordo che porterà alla nascita del primo gruppo al mondo, davanti a colossi come Johnson & Johnson e Novartis.
La fusione è un affare tra i 130 e i 160 miliardi di dollari, con la creazione di una nuova società con 110 mila dipendenti e 65 miliardi di fatturato.
Questo nuovo accordo si inserisce nel complesso risiko di Big Pharma, il cartello delle multinazionali del farmaco, con concentrazioni e acquisizioni che hanno aumentato a dismisura il monopolio delle corporation e il loro potere di condizionamento politico e finanziario.
Professor Remuzzi, partiamo dall’ultima grande fusione tra le multinazionali del farmaco Pfizer e Allergan. Quale è la sua valutazione?
E’ principalmente un’ operazione finanziaria-fiscale per pagare meno tasse , che va a vantaggio soprattutto delle due società. Non dà necessariamente vantaggi per gli ammalati, per il pubblico, per la scienza e la ricerca biomedica. Un’operazione commerciale, di cui i malati non beneficiano.
In questa mega fusione c’è anche la questione cruciale dei brevetti dei farmaci. Parliamome.
Una corporation del farmaco, quando produce qualcosa di nuovo, è protetta con un brevetto e per un certo numero di anni ha l’ esclusiva del farmaco. Tema questo che è oggetto di un negoziato con il governo del Paese nel quale si ottiene il brevetto. In questo caso, per Pfizer, sono gli Stati Uniti. E negli Stati Uniti le condizioni brevettuali per i farmaci sono molto più convenienti che in Irlanda, dove la multinazionale americana ha trasferito la propria sede fiscale per pagare meno tasse.
Lei mi sta dicendo che Pfizer sta cercando il doppio colpo vincente: quello sul piano fiscale e quello dei brevetti ?
E’ cosi. Pfizer vuole mantenere da una parte le condizioni piu vantaggiose che gli Stati Uniti – rispetto all’Irlanda – offrono sui brevetti. Condizioni più favorevoli che permettono tempi più lunghi di vendita in esclusiva del farmaco. D’altra parte Pfizer vuole prendersi i vantaggi dell’Irlanda , dove ha trasferito la sede fiscale e dove paga meno tasse rispetto gli Stati Uniti. (La tassazione degli utili in Irlanda è del 5 per cento, negli Stati Uniti del 25 per cento, ndr ). Questo è un evidente vantaggio fiscale per Pfizer, ma un pesante danno per il governo americano che perde delle entrate fiscali, e ha quindi meno soldi, con conseguenze negative per le prestazioni sociali che sono finanziate con le tasse.
Che le multinazionali operino per fare profitti è ovvio. Ma cosa sta cambiando in Big Pharma, il cartello delle multinazionali?
Negli ultimi anni sta sempre di più prevalendo l’aspetto finananziario, il movimento dei capitali, delle azioni. Una situazione inquietante. Faccio un esempio: ormai negli Stati Uniti sono spesso gli avvocati che prendono le decisioni importanti per le grandi industrie farmaceutiche e non gli scienziati-medici. Si punta sempre più sui farmaci che rendono subito massimi profitti che soddisfino gli azionisti, i mercati finanziari, indipendentemente dalle priorità dei malati, della ricerca, dell’innovazione. Se si continua così in futuro non avremo farmaci efficaci.
Il cambiamento che lei descrive può portare a conseguenze negative per i malati di oggi e di domani.
Si, purtroppo. Guardi, ricordo di aver letto le parole che nel 1950 George Merck (fondatore nel primo Novecento dell’omonimo gruppo farmaceutico americano, ndr) rivolgeva ai suoi collaboratori: “ Non dobbiamo mai dimenticarci che per l’industria farmaceutica prima del profitto viene la gente La missione è trovare prima qualcosa che serva agli ammalati, il profitto poi seguirà”.
Da allora però i tempi sono cambiati. Quell’etica industriale che lei auspica non c’è più. Ora la finanza domina nel risiko delle grandi società farmaceutiche. Con quali conseguenze per la nostra salute?
Un esempio molto concreto: la cosa di cui noi abbiamo più bisogno oggi sono gli antibiotici, su cui però non si fa più ricerca. Per certe malattie infettive o si guarisce o si muore nel giro di due settimane, quindi la multinazionale non ritiene conveniente investire nella ricerca di farmaci antibiotici innovativi. Investono invece sui farmaci che si usano sempre, per tutta la vita. Lì il guadagno è garantito, come per esempio per quelli contro il colesterolo, quelli per abbassare la pressione, quelli per il diabete. Invece abbiamo un drammatico bisogno di fare ricerca e innovazione anche sugli antibiotici poiché anche per un cattivo uso di questi farmaci, i batteri sono diventati sempre piu resistenti. Quindi abbiamo urgenza di farmaci in grado di contrastare i batteri resistenti agli antibiotici tradizionali.
Altrimenti?
Altrimenti nei casi di alcune malattie infettive la gente può morire.
Lei mi ha fatto l’esempio degli antibiotici. Affrontiamo un altro caso che la preoccupa.
E’ quello dei farmaci per il sistema nervoso centrale, per l’ Alzheimer. E’ il problema più grosso che abbiamo e che riguarda tantissime persone e loro famiglie, ed è un campo in cui si investe pochissimo perché è difficile, complesso e costa tanto e quindi le multinazionali non lo ritengono redditizio nell’immediato. Risultato: non investono nella ricerca e noi perdiamo la possibilità di trovare i farmaci che servirebbero a sconfiggere l’Alzheimer. Invece investono in altri settori…
Quali?
Le multinazionali investono, per esempio, nei farmaci anti cancro perché, in modo secondo me non giustificato, guadagnano tantissimo anche se si tratta di farmaci che spesso non sono più efficaci della chemioterapia. In questo caso le multinazionali investono molto nella ricerca dei farmaci anti-cancro perché si possono poi vendere a prezzi altissimi, indipendentemente in molti casi – come le dicevo – dall’efficacia. In alcuni Paesi europei, ad esempio l’Inghilterra, una cura con questi farmaci puo costare , per un anno di trattamento , dai 50 ai 100 mila euro. E tante gente non può sostenere spese simili. Pensi che io ricevo lettere di persone, per esempio dall’ Austria , che non riescono a avere questi farmaci anti-tumorali perché costano troppo.
E sull’Italia che riflessione fa?
In Italia, rispetto molti altri Stati , abbiamo un servizio sanitario nazionale che ci tutela anche su questo fronte, è un sistema pubblico che va apprezzato, sostenuto fino in fondo. Bisogna evitare assolutamente di andare verso il modello di assistenza americano, dove alle fine le assicurazioni pagano quello che gli conviene.
Come contrastare lo strapotere delle multinazionali del farmaco e tutelare di più i malati?
Si può contrastare con una ricerca scientifica indipendente e con investimenti pubblici nella ricerca e nell’innovazione. Noi dobbiamo incentivare i servizi sanitari nazionali, premere sui governi perché si muovano, sostenere e finanziare la ricerca indipendente. Dobbiamo essere in grado di intervenire a partire dalla validazione dei farmaci che vengono messi in commercio.
Perché oggi il sistema come funziona?
Oggi i dossier per la validazione dei farmaci sono presentati, dalle stesse multinazionali che li producono, agli enti preposti, alle agenzie regolatorie (sono l’ EMEA in Europa e l’ FDA negli Stati Uniti, ndr). Questo non è possibile. Occorre un controllo, ricerche indipendenti. Su almeno uno dei tre studi clinici fatti sugli ammalati e richiesti per registrare un farmaco ci vuole uno studio indipendente. Non si può lasciare tutto nelle mani delle multinazionali. Poi, ripeto: ci vogliono forti investimenti pubblici per sostenere la ricerca e l’innovazione nelle cure. Questa è la vera sfida.