La tutela dell’ambiente non è mai stata una priorità per la Turchia. Fin dalla sua fondazione, la Repubblica turca ha investito in una ristrutturazione neoliberale della sua economia che ha sempre posto in secondo piano le questioni ambientali. Inoltre, politiche ed educazione ecologiche ancora scarseggiano e quindi la popolazione non ha sviluppato una grande sensibilità in questo senso. Ciononostante non mancano nel Paese esempi di comunità e cittadini che si ribellano ad attività industriali o estrattive che degradano il loro territorio, arrivando a configurare nel loro insieme un eterogeneo movimento ambientale turco.
Ma, si sa, sono tempi duri per le lotte di opposizione in Turchia e andare contro gli interessi economici che stanno dietro trasformazioni ambientali è diventato rischioso quanto andare contro gli interessi politici.
Ali e Aysin Büyüknohutçu sono i primi due attivisti ambientali assassinati in Turchia e la inquietante sequela di eventi dispiegatasi dopo la loro morte lascia poco spazio a dubbi.
L’esportazione del marmo è uno dei bastioni dell’economia turca: il Paese detiene il 40% delle riserve mondiali. La maggior parte delle cave si concentra sulla costa Anatolica, nei pressi di Antalya. Zone di paesaggi spettacolari, dove gli alti monti taurini si affacciano sul mare Egeo, abitate da tempi remotissimi – lì vi nacque la civiltà dei Lici, antecedente agli egiziani – e pullulanti di rovine archeologiche.
Ed è proprio li che Ali e Aysin avevano deciso di andare a trascorrere gli anni della pensione allevando api. Non ci volle molto tempo per rendersi conto che quei luoghi preziosissimi erano minacciati dal forte impatto delle attività estrattive e che molte cave erano state aperte in palese contravvenzione alla legge, perché troppo vicine ai siti di interesse storico o naturalistico. Una illegalità cosi sfacciata che la campagna fatta partire dalla coppia, che coinvolse anche cittadini e organizzazioni locali, ottenne la chiusura di due cave. Una vittoria che avrebbe potuto aprire la strada a molte altre, ma due mesi dopo, nel marzo 2017, i due pensionati erano morti.
Il loro assassino, Ali Ymac, catturato poco dopo, confessò subito di essere stato pagato da un proprietario di cave di cui conosceva solo il soprannome. Nei mesi seguenti ritrattò, dicendo di aver agito da solo. Successivamente la moglie consegnò alle autorità giudiziarie una lettera che il marito aveva indirizzato al proprietario di una compagnia di marmo, in cui reclamava il pagamento che gli spettava per aver eseguito i loro ordini. Alle porte del processo, Ali Ymac venne trovato impiccato nella sua cella.
Secondo l’Atlante mondiale dei conflitti ambientali, in Turchia sono attivi 56 conflitti: fra di essi alcuni storici come quelli legati alle miniere d’oro e alle centrali idroelettriche mentre altri sono pronti ad aprirsi in conseguenza della politica economica attuale basate tutta sulle grandi opere, i “folli progetti” come li chiama lo stesso presidente Erdoğan.
Ma ora gli ambientalisti hanno paura. Per questa vicenda e perché dopo i politici, dopo gli accademici, dopo gli attivisti per i diritti umani, ora anche per loro vale la facile equazione con cui Erdoğan si sta sbarazzando di tutta l’opposizione: nemici dello sviluppo economico, quindi nemici dello Stato, quindi terroristi.