La prima stagione travolse l’estate del 2016 come un ciclone inaspettato: Stranger Things era stata realizzata in sordina, non aveva grandi nomi nel cast, eccezion fatta per Winona Ryder, i creatori erano i fratelli gemelli Duffer, classe 1984, due perfetti sconosciuti. Eppure fu un successo, uno dei più grossi per Netflix, grazie soprattutto al passaparola e a un innamoramento istantaneo del web.
Poco più di un anno dopo, il 27 ottobre scorso (e in tempismo perfetto per Halloween), è arrivata la seconda stagione, in uno scenario completamente diverso: è senza dubbio tra le serie più attese dell’anno, i suoi interpreti sono diventati nel frattempo piccole star in ascesa, il budget è considerevolmente aumentato. Ma di cosa parla, Stranger Things, e qual è la ragione del suo successo?
Ambientata a Hawkins, un paesino come tanti, nell’Indiana dei primi anni 80, ha come protagonisti un gruppo di ragazzini un po’ nerd e pieni di risorse: all’inizio della storia uno di loro scompare nel nulla, mentre in città si palesa una misteriosa bambina stramba e forse dotata di superpoteri. Poi ci sono un sinistro istituto governativo che conduce esperimenti poco chiari, una realtà parallela chiamata il Sottosopra, un mostro spaventoso, le vicende intrecciate di uno sceriffo ficcanaso, di una madre disperata, dei fratelli maggiori.
Ci sono, a vario titolo e con vari riferimenti, Stephen Spielberg e Stephen King, una colonna sonora carpenteriana e sprazzi di commedie alla John Hughes, ci sono I Goonies, Stand By Me e E.T. – L’extraterrestre: la seconda stagione aggiunge qualche personaggio (tra gli attori, Sean Astin e Paul Reiser, entrambi volti anni 80), allarga il campo dell’azione e ritrova i ragazzi cresciuti quel tanto che basta per iniziare a esplorare, oltre ai pericoli del Sottosopra, i territori scivolosi ed eccitanti dell’adolescenza. È come una macchina del tempo azionata a cultura pop: ci riporta indietro, non solo a un preciso periodo storico o alla nostra infanzia, ma dentro un particolare tipo di cinema, il primo a mettersi davvero ad altezza di ragazzino, consegnando a chiunque la promessa di un mondo d’avventure, e di meraviglia.