“La vera sfida oggi è creare un senso di collettività, per combattere le politiche razziste di Trump, le violenze contro le donne, contro gli immigrati, contro i neri. Dobbiamo sconfiggere il neoliberismo che ha infiltrato i sogni delle persone, in tutto il mondo”.
Angela Davis è determinata, combattiva, ironica, trasmette emozioni. Parla soprattutto alle nuove generazioni, cui si rivolge dicendo: “È un bene che la lotta continui e passi da una generazione all’altra”.
Davis, filosofa e femminista, è stata leader del movimento di liberazione dei neri degli anni settanta, attivista dei diritti umani, militante delle Pantere nere e del Partito comunista. Un filo rosso unisce la sua vita di battaglie, di vittorie e di sconfitte.
“Non dirò mai – spiega Davis – che ho rimpianti per quello che facemmo allora. Le promesse e gli obiettivi delle nostre lotte del passato, che non sono stati mantenuti, devono far parte delle battaglie del futuro. Continuiamo a lottare contro razzismo, il sessismo e il capitalismo”.
Angela Davis, parlando delle sue sconfitte, sostiene di non sentirsi “depressa” e aggiunge: “Non sappiamo mai davvero quale potrebbe essere il risultato delle nostre battaglie. Non abbiamo una sfera di cristallo che ci consenta di vedere il futuro, non abbiamo garanzie, ma questo non significa che non si debba lottare”.
Davis vive le battaglie di allora e quelle di oggi con la stessa passione. E questo traspare anche dalla determinazione con cui indica quello che per lei è la vera questione politica di oggi: la sfida, la lotta all’individualismo, provocato dal neoliberismo che ha “infiltrato i sogni delle persone di tutto il mondo”.
Davis spiega il suo pensiero: “L’individualismo non va confuso con l’individualità. L’individualismo distrugge l’individualità. Noi dobbiamo batterci per ricercare un senso di collettività che ci permetta insieme di mostrare solidarietà ai migranti, alle donne, agli sfruttati, alla Palestina, di lottare con e per loro. Un senso di collettività che attraversi gli oceani e anche lo spazio temporale. Questa la vera sfida”.
Davis poi parla di sé e della lotta per le donne che la vide impegnata in prima fila contro le discriminazioni, anche all’interno del suo movimento, le Pantere nere.
“Nel 1981 mi hanno detto che ero una femminista, io ho risposto: sono una rivoluzionaria donna nera, ma questo è un periodo in cui le donne si stanno alzando e donna non significa più quello che significava una volta. C’è un femminismo di base antirazzista che include donne transgender, per esempio, e questo è il bello dei movimenti giovanili che mi fanno sperare nel futuro, nonostante tutto”.
Davis fa una pausa e aggiunge: “Non dobbiamo pensare che la lotta di genere sia più importante della lotta di classe o di razza e per questo diventa fondamentale il ruolo della femminista intersezionale, perché le lotte sono collegate tra loro: quelle contro la violenza sulle donne, contro il razzismo, per la difesa dell’ambiente, contro l’oppressione di classe, le condizioni nelle carceri, di cui mi sono occupata tutta la vita. Certo non possiamo essere ovunque in queste lotte, ma dobbiamo riconoscerne le connessioni che ci sono. Questo è fondamentale”.
Poi Davis si sofferma sul razzismo negli Stati Uniti, attaccando Trump, facendo riferimento all’uccisione a Charlottesville dell’attivista Heather Heyer, per mano di un suprematista bianco: “Trovo inquietante la posizione di Trump. Come può un presidente non dire che bisogna andare oltre alla storia del Ku Klux Klan?”.
“Il razzismo è al centro della storia degli Usa – continua Davis – e non c’è modo di concepire la storia del Nord America senza considerare il genocidio e la schiavitù inflitta ai popoli nativi. L’elezione di Obama nel 2008 è come se avesse dovuto o potuto cancellare il razzismo dal passato, ma questo non è avvenuto. L’affermarsi del suprematismo bianco è il fallimento delle politiche antecedenti, a iniziare dalla modalità di abolizione della schiavitù. Il razzismo non è mai uguale, si trasforma. Solo quando le vite dei neri saranno importanti, allora lo saranno le vite di tutti. Una donna solo perché donna non ci salverà, così come non lo farà Obama solo perché nero. Il compito che ci aspetta è quello di combattere la violenza contro donne, neri e migranti. I processi migratori stanno aumentando il fenomeno razzista ma le migrazioni sono l’effetto delle politiche coloniali e l’Europa oggi ne sta pagando il risultato”.
Angela Davis ha infine risposto ad alcune domande dal pubblico del teatro Comunale di Ferrara, tra le quali questa:“ Angela cosa faresti se avessi 20 anni?”
“È una domanda davvero difficile. Non so se è importante quale lotta si sceglie. L’importante, credo, è come ci si coinvolge, come si abbracciano le lotte. Comunque rispondo alla tua domanda: io mi sono sempre interessata di musica, comincio a pensare quanto sia rilevante che i musicisti siano parte di una lotta culturale più ampia, perché hanno un impatto sulle persone che spesso noi non riusciamo ad avere. E quindi magari avessi 20 anni mi occuperei di qualcosa di più culturale. Non so se conoscete Michael Bennett (è un famoso giocatore di football americano della squadra Seattle Seahawks, ndr). Io sono in contatto con lui e altri. Ed è entusiasmante vedere cosa sta succedendo. Chi avrebbe mai pensato che giocatori di football si mettessero contro Trump? Ecco, se avessi 20 anni,f orse farei l’organizzatrice culturale, ma non so se lo farei bene”.
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“Angela Yvonne Davis è una testimonianza vivente delle battaglie che hanno caratterizzato la nostra epoca. Filosofa, femminista, icona del movimento di liberazione dei neri degli anni settanta, militante delle Pantere nere e del Partito comunista, è una delle più influenti intellettuali degli Stati Uniti.
Nata a Birmingham, in Alabama, nel 1944, quando le case dei neri venivano fatte saltare in aria dal Ku klux klan, ha studiato in Massachusetts, in Francia e in Germania, dove è stata allieva di Herbert Marcuse. Da sempre si batte per l’abolizione delle carceri. Nel 1970 l’Fbi la inserì con accuse false nella lista delle dieci persone più ricercate. Passò sedici mesi in prigione, mentre nel mondo partiva una campagna per la sua liberazione.
Professoressa emerita dell’Università della California a Santa Cruz, si occupa di marxismo, femminismo, questioni razziali e di genere.
A gennaio ha partecipato a Washington alla marcia delle donne contro Donald Trump: “Noi – i milioni di donne, persone transgender, uomini e giovani che oggi sono qui – rappresentiamo le forze di un cambiamento che non permetterà alla cultura del razzismo e dell’eteropatriarcato di risollevarsi”, ha detto nel suo discorso.” (Da Internazionale)