Cinquantun anni fa, nel settembre del 1966, negli Stati Uniti andava in onda la prima puntata di Star Trek: le cronache dei viaggi dell’astronave Enterprise durante la sua missione quinquennale, guidata dal capitano Kirk e dal signor Spock. Nasceva così, è il caso di dirlo, un intero universo: creato da Gene Roddenberry, avrebbe guadagnato moltitudini di fan e generato, tra le altre cose, 13 film e altre cinque serie tv, di cui una animata.
Oggi, oltre dieci anni dopo l’ultima avventura su piccolo schermo, è tempo di una nuova serie live action, la sesta del franchise: in onda negli Stati Uniti sulla rete CBS, in Italia verrà distribuita sulla piattaforma Netflix, un episodio a settimana, ogni lunedì. S’intitola Star Trek: Discovery ed è ambientata dieci anni prima rispetto alla serie classica, quando s’inaspriscono le relazioni tra la Federazione dei pianeti uniti e i Klingon: la protagonista è Michael Burnham, interpretata da Sonequa Martin-Green (già vista in The Walking Dead), primo ufficiale a bordo della nave stellare Shenzou, umana ma cresciuta tra i vulcaniani.
Dietro le quinte di questo progetto – pensato inizialmente per festeggiare il cinquantennale, ma rinviato per lungaggini realizzative – ci sono l’autore di Hannibal e American Gods Bryan Fuller e Alex Kurtzman, che ha prodotto anche i più recenti film di Star Trek insieme a JJ Abrams. Ma se questi ultimi avevano diviso gli appassionati di vecchia data, Star Trek: Discovery è stata accolta, dopo la visione del doppio episodio pilota, con entusiastico ottimismo: pare rispettosissima del complesso mondo inventato da Roddenberry e soprattutto del suo spirito, attenta a districare questioni di filosofia politica ma senza dimenticare l’intrattenimento, e finalmente supportata da effetti speciali in grado di limitarne l’affettuoso aspetto kitsch. Arriverà là dove nessuno è mai stato prima?