“Non so se il suo carattere rappresentò un limite oppure fu il segreto della sua leggenda, penso solo che quell’uomo non avrebbe potuto vivere in nessun altro modo”.
A parlare è Duncan Hamilton, autore del libro L’immortale, pubblicato negli scorsi giorni in Italia da 66thand2nd. La leggenda è quella di George Best, morto il 25 novembre del 2005, cui il libro è dedicato.
Hamilton è uno dei più noti scrittori e giornalisti sportivi britannici. Ha seguito l’epopea del Nottingham Forest bicampione d’Europa e ha vinto l’ambitissimo William Hill Sports Book of the Year nel 2007 con un racconto dei suoi Venti anni con Brian Clough, premio bissato grazie alla storia del campione di cricket Harold Larwood.
Il suo volume parte dai campi di erba spelacchiata di Belfast, la città in cui Best è nato e dove ancora oggi rappresenta un eroe. Racconta i trionfi con il Manchester United da poco uscito dalla tragedia aerea di Monaco di Baviera e poi George come fenomeno pop e le varie tappe del processo di autodistruzione che lo portarono alla morte per un’infezione epatica.
“La fine di George fu un campanello di allarme per il sistema, che reagì – dice Duncan Hamilton -. Alex Ferguson e gli altri capirono la lezione e iniziarono a proteggere i loro talenti, che a loro volta divennero più consapevoli del successo e dei suoi rischi. La capacità di David Beckham di gestire la propria immagine e la propria carriera dimostra come il calcio sia profondamente cambiato dagli anni Sessanta. Però Best rimane un talento inarrivabile, che ha cambiato la storia dello sport. E io in questo libro voglio celebrare la sua grandezza”.
Ascolta l’intervista andata in onda a Olio di Canfora.