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L’ombra del terrorismo sul confronto USA/Cina

Non è stato un vertice facile quello della Cooperazione economica Asia-Pacifico (Asia-Pacific Economic Cooperation, Apec) ospitato il 18 e 19 novembre nuovamente nella capitale filippina Manila dopo un ventennio.

Non solo per gli eventi di Parigi e la volontà Usa di ribadire che le pretese cinesi hanno un limite nel diritto internazionale e nelle convenzioni marittime, ma anche per i duri scontri che lo hanno accompagnato

Un migliaio di manifestanti organizzati dalla Nuova alleanza patriottica, formazione di sinistra, hanno cercato di superare gli sbarramenti che isolavano nel raggio di un chilometro il Centro congressi internazionale delle Filippine, sede degli incontri, cui hanno partecipato anche il presidente statunitense Barack Obama e la sua controparte cinese Xi Jinping.

Anche loro tra gli obiettivi della protesta: il primo accusato di cercare di imporre proprie basi permanenti all’arcipelago, il secondo perché minaccerebbe con la politica di espansione unilaterale dei confini marittimi i diritti delle Filippine e di altri paesi costieri su aree marittime ricche di risorse ittiche e energetiche.

Le forze di polizia hanno usato cannoni a acqua e bastoni per consentire il passaggio delle auto degli ospiti e impedire il degenerare della protesta, che era soprattutto rivolta contro le politiche economiche dell’Apec, del predominio dei paesi più ricchi e delle multinazionali a scapito dei poveri che costituiscono una parte non indifferente degli oltre tre miliardi di individui che vivono nei paesi membri.

Il raduno filippino dei rappresentanti di 21 economie sviluppate e in via di sviluppo (ne fanno parte tra gli altri Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone, Corea del Sud, Australia, Canada, Indonesia, Filippine, Thailandia, Malaysia) che assommano il 57% del Pil mondiale, oltre la metà del commercio globale e più di tre miliardi di individui, aveva avuto un prologo lunedì e martedì con l’incontro dei ministri economici.

Le imponenti misure di sicurezza, oltre 20 mila effettivi di polizia e esercito mobilitati, lo sgombero dalle strade di passaggio degli ospiti stranieri di 20 mila senzatetto, il blocco selettivo di alcune arterie cittadine che ha reso altre aree un incubo per la circolazione, non hanno avuto solo lo scopo di proteggere gli ospiti dal dissenso anche duro degli attivisti pacifisti e anti-capitalisti, ma soprattutto di mettere in sicurezza il vertice dopo i fatti di Parigi e le minacce dirette dell’Is inviate il giorno prima dell’inizio.

Inevitabilmente, quindi, la minaccia terroristica che dal Medio Oriente si diffonde in Occidente ma non lascia indifferente il continente asiatico ha segnato il vertice: per le misure di sicurezza, nei colloqui bi- e multilaterali e nel comunicato finale in cui i leader Apec hanno sollecitato un incremento urgente della cooperazione tra gli stati membri per combattere il terrorismo.

Citati espressamente recenti eventi terroristici: gli attacchi di Parigi, ma anche le esplosioni di Beirut e l’abbattimento dell’aereo passeggeri russo sul Sinai. A poche ore dalla chiusura del Vertice è arrivata la notizia dell’uccisione da parte dello Stato Islamico di un cittadino cinese e il presidente Xi Jinping ha segnalato l’organizzazione come “nemico comune dell’umanità” e promesso azioni di contrasto.

Forte la necessità di trovare una convergenza tra le esigenze di paesi attivi nei centri di conflitto alimentati dall’islamismo radicale in Medio Oriente e Asia e dunque oggetto di ritorsioni – Stati Uniti, Russia -, con quelli che sono a loro volta a rischio come potenziali obiettivi – Australia, India, economie sviluppate dell’Estremo Oriente, Cina, Filippine – e altri che – in maggioranza di fede islamica<<<<. Bangladesh, Indonesia, Malaysia, Pakistan – sono allo stesso tempo centrali di reclutamento del jihadismo, teatro di azioni terroristiche e di persecuzione dei non-musulmani come dei musulmani moderati.

Giovedì 18 il presidente statunitense Barack Obama ha ignorato il desiderio cinese di non affrontare le controversie territoriali nel Mar cinese meridionale, indicando che l’ampliamento artificiale delle isole e degli atolli e la costruzione su di essi di strutture permanenti, anche con scopi bellici, deve finire.

Un argomento su cui Pechino aveva chiesto il silenzio ma che gli Stati Uniti hanno deciso di non ignorare davanti al moltiplicarsi di azioni unilaterali cinesi, che rischiano di innescare contese armate e limiti al transito di navi e aerei nella regione, vitale per le rotte tra Oceano Indiano e Pacifico che da sole accolgono oltre la metà del traffico merci mondiale.

Dopo l’incontro con il presidente filippino Benigno Aquino, Obama ha descritto il programma di aiuti marittimi verso gli alleati dell’Asia sudorientale. Un piano del valore di 250 milioni di dollari che include la fornitura di una nave da guerra alla marina filippina.

Sul piano economico, abitualmente dominante, l’obiettivo era soprattutto mettere in luce e consolidare il ruolo delle piccole e medie imprese (Small and Medium Enterprises, Sme) per consentire, come indicato dal tema del vertice, “la costruzione di economie aperte per la costruzione di un mondo migliore”. Non è un caso, visto che le Sme rappresentano il 97% dell’intera imprenditoria Apec e sono la tipologia produttiva che meglio può utilizzare l’ingente capitale umano ancora disponibile, anche se in un contesto di invecchiamento sostenuto della forza lavoro.

I temi economici e politici, rimasti in sordina nel vertice di Manila, saranno dibattuti nel vertice Usa-Asia e in quello dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico) nel fine settimana nella capitale malese Kuala Lumpur, cui parteciperà una parte consistente delle nazioni parte dell’Apec e con la presenza ancora di Obama.

Una presenza importante, necessaria in particolare per la promozione del Tpp , il Partenariato trans-pacifico, nato ufficialmente a ottobre dopo sette anni di trattative tra 12 paesi delle due sponde del Pacifico e che rappresenta la più ricca e attiva area di libero scambio del pianeta. Una iniziativa di matrice americana, cui altri paesi stanno valutando se associarsi e che, nel contesto attuale, finisce inevitabilmente per essere percepita come rivale di iniziative commerciali, finanziarie e strategiche sponsorizzate dalla Cina.

  • Autore articolo
    Stefano Vecchia
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    Da tempo pensavo a un nuovo programma, senza rendermi conto che lo avevo già: un archivio dei miei incontri musicali degli ultimi 46 anni, salvati su supporti magnetici e hard disk. Un archivio parlato, "Ricordi d'archivio", da non confondere con quello cartaceo iniziato duecento anni fa dal mio antenato Giovanni. Ogni puntata presenta una conversazione musicale con figure come Canino, Abbado, Battiato e altri. Un archivio vivo che racconta il passato e si arricchisce nel presente. Buon ascolto. (Claudio Ricordi, settembre 2022).

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    “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Secondo episodio: La guerra non è popolare. L’Europa si riarma con 800 miliardi. In questi anni aveva già raddoppiato la propria quota di spese militarti, soprattutto comprando dagli Stati Uniti. Lo faremo di più, visto che Trump disinvestirà dalla Nato e dall’Europa. E’ la “fine delle illusioni”, come dice Von der Leyen, di essere garantiti dalla pace, perché d’ora in poi bisognerà usare la forza. E intanto si educa la popolazione con manuali che dicono: “In caso di guerra…”. La propaganda è altissima perché non c’è nulla di più antipopolare e antidemocratico della guerra e la militarizzazione d’Europa è tutta sulle spalle dei suoi cittadini. Con Michele Paschetto di EMERGENCY vi racconteremo come in Afghanistan in più di venti anni di guerre le cure abbiamo svolto un ruolo straordinario di mediatore. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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    Una trasmissione settimanale  a cura di Anaïs Poirot-Gorse con in regia Nicola Mogno. Una trasmissione nata su Shareradio, webradio metropolitana milanese che cerca di ridare un spazio di parola a tutti i ragazzi dei centri di aggregazione giovanili di Milano con cui svolgiamo regolarmente laboratori radiofonici.

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    Anche in questa puntata parliamo di qualcosa che ha a che fare con la cultura enogastronomica, ma anche, molto, con la musica. Per la prima volta il caro Max Casacci (già colonna dei Subsonica) è stato ospite di un nostro programma non prettamente musicale, per raccontare il terzo episodio del suo progetto "Eartphonia", che lo ha portato in Franciacorta per "Through the grapevine", realizzato con i suoni del vino; suoni e rumori catturati nelle cantine dell'azienda vitivinicola Bersi Serlini Franciacorta. A cura di Niccolò Vecchia

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