Marcello Martini aveva 14 anni quando finì nei lager: Fossoli, Mauthasen, Wiener Neustadt, Hinterbrühl. Ma perché è stato internato? Durante la guerra si cresce in fretta: successe anche a Marcello, nato e cresciuto in una famiglia antifascista, che nel 1944 fu arrestato insieme alla madre e alla sorella. Una vicenda che s’intreccia con la mitica Radio CoRa. “Mio padre – racconta – era il responsabile militare del Cln della zona di Prato, che era una zona importante dal punto di vista militare. Infatti nel giugno ’44 un gruppo di radiotelegrafisti venne paracadutato vicino a Prato: dovevano aiutare Radio CoRa a fornire indicazioni precise su dove gli Alleati dovevano bombardare. Insieme a mio fratello e mio padre andai a recuperare i paracaduti: uno non lo trovammo, probabilmente – ridacchia Marcello Martini – l’avrà trovato prima di noi un contadino, che si sarà fatto qualche bella camicia”. La trasmittente di Radio CoRa, la radio messa in piedi dal Partito d’Azione di Firenze, continuava ad essere spostata di casa in casa, ma proprio in quei giorni venne scoperta. I nazisti fecero una retata che azzerò l’esperienza di Radio CoRa. Così l’abbiamo raccontata nella trasmissione Radio Milano Liberata.
Per cercare di scagionare gli arrestati si consegna ai nazisti Italo Piccagli, capitano dell’Aeronautica, che aveva contribuito alla creazione, mesi prima, di Radio Bari, una delle emittenti che gli Alleati installavano mano a mano che conquistavano le città. Ma anche il capitano Piccagli, insieme a paracadutisti inviati dall’8° Armata per rafforzare il gruppo clandestino di Radio CoRa e un ignoto partigiano cecoslovacco verranno fucilati. Con loro anche Anna maria Enriques Agnoletti. Il corpo dell’avvocato Enrico Bocci, l’altro responsabile di Radio CoRa non verrà mai ritrovato. Solo Gilda La Rocca riuscirà a salvarsi.
Ma torniamo a Marcello Martini. Arrestato dai nazisti finisce nei campi di concentramento, sopravvive anche alla marcia della morte. Un anno in cui ha conosciuto l’abisso della crudeltà scientificamente organizzata e il calore della solidarietà spontanea. La solidarietà che che l’ha salvato a Hinterbrühl, quando un incidente di lavoro poteva farlo finire nell’elenco degli incapaci di lavorare e quindi da eliminare.
“Ero il più giovane triangolo rosso di Mauthasen”, racconta con orgoglio Marcello Martini. Quel triangolo che vive come una medaglia per molti equivaleva ad uno stigma, se non ad una condanna a morte. Settant’anni sono un periodo abbastanza lungo per poter ricordare quei simboli anche con un po’ di leggerezza.
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