I francesi non vogliono rischiare un Patriot Act americano. Alain Touraine, sociologo francese di fama internazionale, è sicuro che il suo paese non attraverserà una delle pagine più buie della storia dei diritti civili negli Stati Uniti. Il professor Touraine, 90 anni, oggi è stato ospite di Memos. Il grande sociologo è venuto a trovarci nella sede di Radio Popolare.
Iniziamo l’intervista parlando del presidente francese Hollande, delle sue dichiarazioni al parlamento di Versailles dopo le stragi di Parigi di venerdì scorso: “siamo in guerra”, “saremo impietosi”, “la repubblica distruggerà il terrorismo”, ha detto con tono marziale il capo dell’Eliseo. Era inevitabile questo tono, professor Touraine? «In parte sì, perché Hollande ha poche possibilità di vincere le prossime elezioni presidenziali. Durante tutti questi anni di presidenza, Hollande ha avuto meno del 20% dei consensi. In un certo modo è una drammatizzazione. C’è un aspetto strategico politico e personale, voler apparire come una persona di fronte al nemico di Daesh, una minaccia contro la repubblica».
Alain Touraine definisce “drammatica” la situazione, la definisce una minaccia che va presa sul serio. «Voglio che non si dimentichi – dice – quanto è accaduto a gennaio: Charlie Hebdo, i quattro cittadini ebrei uccisi alla porta di Vincennes. E poi i cortei con quattro milioni di persone che sono uscite di casa per manifestare la loro identificazione totale con la libertà, la libertà di pensiero e di espressione che sono la base della repubblica, in tutti i paesi. Vedo con una certa emozione una reazione seria della popolazione. Non è una popolazione che piange, essa sente con ragione di essere stata attaccata nei propri valori universali, fondamentali, come la libertà e – come scrivo nel mio ultimo libro – come la dignità della persona umana».
L’ultimo libro del professor Touraine, non ancora tradotto in italiano, si intitola Nous, sujets humains (Noi, soggetti umani). E’ l’approdo di anni di ricerca trascorsi prima tra la società dell’azione e i movimenti sociali, poi nell’era post-industriale (espressione coniata proprio da Touraine) e post-sociale. Per arrivare fino all’oggi con il ruolo centrale degli individui nella rivendicazione dei propri “diritti universali: libertà, uguaglianza e dignità”. L’intervista con il professor Touraine prosegue proprio sul tema dei diritti. Di fronte ad Hollande che ha annunciato modifiche della Costituzione per accrescere i poteri del presidente, l’aumento dei poteri di polizia, non si rischia di mettere in pericolo garanzie e diritti?
«Personalmente – dice – credo con forza che la grandissima maggioranza dei francesi non vogliano un Patriot Act, in nessun modo! Sono totalmente contrari, così come lo erano a gennaio. Nella manifestazione di Parigi di allora, quella che seguì Charlie Hebdo, non fu pronunciata alcuna parola contro l’islam. L’esempio americano del 2003 ha provocato negli Stati Uniti, in Europa, in gran parte del mondo, reazioni molto negative. Per me l’aspetto negativo è ancora più forte, perché rappresenta la “trappola” che Daesh ci tende chiedendoci di fare ciò che vogliono loro e cioè avere una reazione che porti ad uno scontro totale, mortale tra due civiltà. Una cosa orrenda!». Ma Hollande col suo tipo di risposta non rischia di cadere in questa trappola? «Sì, c’è un rischio – dice il professor Touraine – Anche se le reazione forte serve per opporsi ad un pericolo reale rappresentato dal Front National. Come intellettuale francese, come cittadino francese, devo parlare in modo molto chiaro: l’unica risposta utile, realistica è imporre al nemico la separazione – che è un punto della società moderna – del privato dal pubblico, dell’economico dal politico, del politico dal religioso. Per me la modernità si distingue soprattutto per l’universalismo. E’ l’idea dell’illuminismo. Daesh parla invece un linguaggio anti-universalista, manicheo (esiste solo l’islam o l’anti-islam). Inoltre, non si devono in nessun modo inviare truppe sul terreno. Sarebbe la morte, finirebbe come nel Vietnam. L’unica soluzione nella regione è mobilitare la coscienza nazionale degli stati nuovi, come è successo cinquant’anni fa in Egitto con il nasserismo. Conosco bene dirigenti politici e militari dei curdi iracheni: nelle loro sei province c’è la formazione di una coscienza nazionale, anche se solamente tre sono indipendenti, tra cui Mosul. Oggi bisogna aiutare i peshmerga curdi che hanno preso la città dei massacri di Sinjar».
Perché non si interviene contro Daesh tagliando finanziamenti, bloccando la vendita delle armi, l’acquisto del loro petrolio?«Non lo so. Questo è un problema per Daesh stesso. Loro non sono islam, religione. Loro sono petrolio, armi, propaganda. Ci sono due cose importanti da dire: la prima, separare in modo chiaro ciò che c’è di economico, di politico e di “religioso” in Daesh. La seconda, evitare il doppio gioco: come quello della Turchia, del Qatar, degli Emirati Arabi Uniti dove i governi di questi paesi sono parte della coalizione anti-Daesh mentre Ong e famiglie ricche degli stessi paesi finanziano Daesh. Lo dico come sociologo, e non come specialista del mondo arabo, dobbiamo insistere di più su un aspetto positivo: accettare, aiutare, riconoscere l’islam come religione. So che è difficile farlo per quei francesi che hanno una laicità molto ambigua. E’ importante appoggiare la religione islamica: aiutare la formazione degli imam, costruire moschee decenti. Ci vuole una formazione religiosa adeguata che i jihadisti non hanno. Loro non sanno quasi niente dell’islam come religione. Bisogna mostrare rispetto verso tutte le religioni, quella islamica cristiana ebraica. Ciò suppone una trasformazione della cultura politica, non solo francese, che deve riconoscere la necessità di una convergenza tra lo spiritualismo laico, filosofico, etico e religioso: non sono nemici, ma fanno parte dello stesso grande movimento. E’ una lotta importantissima contro il totalitarismo culturale di Daesh».
E l’Europa, professor Touraine? «Daesh in Medioriente o il Front National in Francia sono due movimenti fratelli, sono quelli che io chiamo “anti-movimenti sociali”. Sono movimenti di comunità, di identità, di odio verso l’altro. Se noi facciamo una politica in Europa di respingimento sbagliamo. L’universalismo esige da tutti noi di aprire le braccia ai rifugiati, ad esempio ai cittadini siriani, che sono gente molto simile a noi e che possono partecipare alla nostra vita senza difficoltà, dimostrare che la maggioranza della popolazione siriana può vivere in Europa senza problemi, al di là degli ostacoli materiali e burocratici. E’ fondamentale – conclude il grande sociologo – dimostrare di fronte a Daesh che noi non siamo differenti ma che stiamo parlano in termini di universalismo e non di differenze fra due civiltà».
Ascolta la puntata di Memos