Approfondimenti

Quando il terrore distrugge lo sport

Doveva, forse, essere l’assolo piu clamoroso nella strategia terroristica degli attentatori.

Cosi non è stato, ma le bombe esplose all’esterno dello Stade de France venerdi sera segnano un momento anzitutto dal forte valore simbolico. Lo sport, bandito nei territori controllati dallo Stato Islamico, è la grande passione del nemico occidentale, in Francia è stato da sempre veicolo di integrazione, uno dei pochi linguaggi rimasti in comune a tutte le generazioni, come dimostrano la multietnica nazionale Bleu che a Saint Denis trionfò nel 1998 e quella attuale, che a giugno sarà impegnata in un Europeo casalingo in cui la sicurezza sarà inevitabilmente un tema.

Non è la prima volta che il terrore ferma lo sport, che sfrutta la sua visibilità e la sua capacità di aggregazione. L’episodio piu clamoroso risale al 1972, alle Olimpiadi estive di Monaco di Baviera. Un commando dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero fece irruzione all’interno del villaggio olimpico e uccise 11 atleti, nel corso del tentativo di blitz della polizia. Caddero anche 5 terroristi e un poliziotto, i morti in tutto furono 17.

Anche i Giochi di Atlanta, 24 anni dopo, subirono un attacco. Una bomba posta dall’estremista cristiano Eric Rudolph all’interno del Centennial Olympic Park provocò due morti e oltre 100 feriti.

Clamorosa l’operazione compiuta dal Fronte di liberazione dell’enclave di Cabinda, attualmente territorio angolano, nel gennaio 2010. Nei pressi della frontiera con il Congo un gruppo di fuoco mitragliò il pullman che trasportava la nazionale togolese alla Coppa d’Africa. L’autista e due uomini dello staff della selezione persero la vita.

Dinamiche non dissimili in Pakistan, nel 2009, quando il bus della nazionale dello Sri Lanka di cricket fu attaccato a Lahore, con 8 morti e cinque giocatori feriti. Gravissimo il bilancio di un altro episodio avvenuto nel Paese asiatico nel 2002: un autobomba scoppiata a Karachi di fronte all’hotel che ospitava la nazionale neozelandese di cricket causò 13 morti e il ritorno della squadra in patria. Furono oltre 100 le vittime il primo gennaio 2010 sempre in Pakistan, dove un kamikaze si lanciò con la sua auto piena di esplosivo tra la folla durante una partita di pallavolo.

Le grandi vetrine sportive sono state mandate in frantumi in passato anche da Eta in Spagna. Colpirono nel 1982 con la morte di un agente all’inaugurazione dei Mondiali di Spagna e nel 1997 a San Sebastian, Donostia in basco, quando un boato risuonò nei pressi del traguardo del Mondiale di ciclismo in pista durante la gara femminile. I feriti furono 4. Una ventina invece le persone coinvolte nell’esplosione di due autobombe durante il Clasico del 2002 tra Real Madrid e Barcellona. Poco prima dello scoppio la rivendicazione di Eta era giunta attraverso una telefonata. Non da meno Ira, che il 15 giugno del 1996 piazzò 1500 kg di esplosivo nel centro di Manchester durante l’Europeo inglese e fece 200 feriti.

Non figurano nella conta altri grandi eventi, come la Parigi-Dakar del 2008, che fu annullata per la prima volta nella storia proprio per il rischio di attentati.

Infine le maratone, che non sono state esenti dal sangue. 15 persone, tra cui un ministro dello Sri Lanka e un ex atleta olimpico, morirono a Colombo durante una corsa in occasione del capodanno singalese. Fino alla vicenda più recente, prima dello Stade de France: il 15 aprile del 2013 furono tre le vittime, tra cui un bambino di due anni, delle bombe posizione da due fratelli di origine cecena alla Maratona di Boston.

  • Autore articolo
    Dario Falcini
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    Ho detto R1PUD1A di Claudio Jampaglia e Giuseppe Mazza per EMERGENCY “Ho detto R1PUD1A” è un podcast sul riarmo e la propaganda di guerra in Europa di Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia, realizzato negli studi di Radio Popolare per EMERGENCY. Nei 5 episodi vi racconteremo le ragioni della campagna R1PUD1A di EMERGENCY www.ripudia.it attraverso un’analisi dei meccanismi per cui in questi anni siamo arrivati al “non c’è alternativa” al riarmo, dei protagonisti, delle campagne e dei linguaggi, con molti ricorsi storici, qualche sguardo alle alternative e con la partecipazione di alcuni dei protagonisti dell’associazione che da 30 anni cerca di curare e prevenire le ferite provocate dai conflitti armati. Primo episodio: Le parole sono importanti. In questa prima puntata di “Ho detto R1PUD1A” Giuseppe Mazza e Claudio Jampaglia spiegano cosa significa la parola “ripudia” nella Costituzione italiana e perché è stata scelta per rappresentare il “mai più” alla guerra del popolo italiano dopo la Liberazione. Non siamo i soli ad avere fissato questo principio nelle nostre leggi. La guerra però sta tornando una prospettiva concreta, almeno secondo la maggior parte dei governi, che si riarmano, Italia compresa. Con Rossella Miccio, presidente di EMERGENCY, vi racconteremo poi l’esempio del Sudan, il Paese dove la guerra ha già causato in questi due anni oltre tre milioni di profughi. Partecipa alla campagna R1PUD1A su www.ripudia.it

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