Con i 391 seggi raggiunti domenica e con solo una circoscrizione ancora in ballottaggio, il partito di Aung San Suu Kyi ha superato di gran lunga i 329 seggi necessari per avere la maggioranza assoluta in entrambe le camere parlamentari, che ne contano congiuntamente 664, di cui solo tre quarti in lizza, dato il quarto di seggi assegnati dalla costituzione alle forze armate.
Di conseguenza, la leader non solo potrà gestire legittimamente la vita del Paese per il prossimo quinquennio, ma ha la forza sufficiente per controllare l’elezione del prossimo presidente che a sua volta designerà il premier del nuovo governo.
Una carica, quella presidenziale che sfuggirà probabilmente a Aung San Suu Kyi, più probabile candidata al premierato.
Per renderle possibile accedere in futuro alla massima carica dello stato, occorrerà infatti modificare la costituzione successivamente all’inaugurazione del nuovo parlamento, a febbraio. Una operazione complessa, dato che i militari hanno ancora diritto di veto con il 25% dei voti di diritto in parlamento, contro il 76% necessario per emendamenti costituzionali.
La Lega nazionale per la democrazia ha vinto con ampia maggioranza le prime elezioni realmente democratiche del paese in 25 anni ma, contrariamente a quelle del 1990 in cui risultato venne negato dal regime militare che avviò una dura persecuzione, questa volta la via di una restaurazione militare è sbarrata da un risultato corale che ha coinvolto ogni settore sociale, etnia e fede e dall’attenzione internazionale sulla sorte della più immatura democrazia asiatica.
Quasi unanime è stata infatti la soddisfazione per la vittoria della Lega e la comunità internazionale è ora ancora più disponibile a sostenere la volontà di progresso di un Paese un tempo ai vertici del benessere asiatico e affondato nella povertà dal controllo militare iniziato nel 1962.
Da una prima analisi del voto, appare essenziale nella sconfitta degli avversari del Partito per l’unità, la solidarietà e lo sviluppo, erede del regime militare, la forte contrazione dei partiti regionali, a base etnica, i cui elettori hanno optato in maggioranza per il partito che garantisce il progresso del paese nel suo complesso, rispetto gli interessi locali.
A più riprese negli ultimi giorni – e anche ieri dopo il colloqui con il presidente del parlamento, l’ex generale moderato Shwe man cui sarà probabilmente assegnata al carica di capo dello stato – Aung San Suu Kyi ha specificato che il suo vuole essere un programma e un governo di unità nazionale cui chiederà di partecipare al Partito per l’unione, la solidarietà e lo sviluppo (41 seggi finora), che aveva stravinto nelle elezioni del 2010 dalle quali la Lega nazionale per la democrazia si era astenuta.
Alle forze armate la costituzione in vigore, da essi dettata, assegna il controllo dei ministeri dell’Interno, delle Aree di confine e degli Esteri.