Il Trattato di Schengen è a rischio. Una delle pietre miliari dell’Europa – che sancisce il principio di libertà di movimento per merci e persone – di fatto è sospeso. Lo annuncia la Francia in vista della conferenza sul clima che ci sarà tra un mese, lo ha fatto la Germania con l’Austria, la Svezia con la Danimarca. E poi ci sono i Paesi della rotta balcanica che innalzano muri: l’ultima in ordine di tempo la Slovenia. “Salvare Schengen”: è questo l’appello lanciato dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk nell’ultimo giorno di vertice sull’immigrazione a Malta.
L’esito di questa due giorni è un Action Plan condiviso, che indica la strada da percorrere da qui ad un anno per evitare che l’Europa tracolli. Obiettivo numero uno, il passaggio obbligato (secondo Tusk): ripristinare le frontiere esterne. “Non tutti possono arrivare attraverso i canali della migrazione legale”, è il commento di Donald Tusk. Sul fronte dell’immigrazione legale, Tusk insieme a Jean Claude Junker, presidente della Commissione europea, promette di raddoppiare il numero di borse di studio per studenti e insegnati che vogliono raggiungere l’Europa. Si tratta però di numeri piccoli, sull’ordine delle decine di migliaia di persone. A questo si aggiungerà un Piano per la Mobilità da varare nel corso dei Processi di Rabat e Khartoum, le due piattaforme di dialogo permanente di un gruppo di Stati europei (Italia per prima) insieme ai Paesi del Maghreb e del Corno d’Africa. Sarà sufficiente per incentivare vie legali? La domanda di Europa ha toccato, per il solo 2015, oltre 220mila migranti.
Il tempo stringe: la deadline delle istituzioni europee è la fine del 2016. A gennaio il premier Joseph Muscat ha già convocato un nuovo vertice per aggiornarsi sullo stato di salute dei rapporti Africa-Europa. Per rendere possibile il libro dei sogni de La Valletta, però, servono soldi. L’Emergency Trust Fund per l’Africa è il primo. Il traguardo sono 3,6 miliardi da elargire in cinque anni; contributo esistente al momento: 1,8 miliardi. Dai Paesi, finora, ci si è fermati sotto i 100 milioni di euro. Troppo poco.
Quasi in sordina è invece passata la realizzazione di un altro fondo, destinato questa volta alla Turchia. Tre miliardi il totale, di cui 500 milioni messi sul piatto dall’Europa e altri 2,5 miliardi invece da recuperare dai Paesi membri. A differenza dell’Africa Trust Fund questa volta il criterio di elargizione è vincolato ad un tasso con cui si calcola anche il contributo annuale di ogni Paese nel budget Ue. “Sappiamo che la sfida è molto difficile”, ha detto Tusk.
Jean-Claude Juncker si è poi fatto sentire sui tempi con cui l’Europa sta gestendo i ricollocamenti, le famose “quote”. Sono 130 i profughi che hanno trovato un posto dove stare, contro i 160mila previsti dal piano. “Con questi ritmi – sostiene Juncker – termineremo nel 2101”.
Anche sul fronte hotspot, le nuove strutture che avranno personale dei Paesi membri e degli uffici europei per la gestione dei processi di identificazione e smistamento dei migranti, le nozie non sono del tutto positive. Italia e Grecia, i Paesi che per primi dovrebbero guidare l’esperimento, sono ancora indietro. Mancano 429 funzionari di Frontex e il ritmo di lavoro non è adeguato. Juncker però sottolinea, in positivo, che anche altri Paesi sulla rotta balcanica, come Slovenia e Ungheria, si doteranno di hotspot.